Nella cosiddetta Seconda Repubblica gli eletti non guardano più agli elettori
Le differenze esistenti tra la cosiddetta Prima Repubblica e la cosiddetta Seconda Repubblica sono tantissime ed io, che le ho conosciute e attraversate entrambe, rimanendo indenne dai pericoli tipici della funzione che esercitavo, posso dirlo dall’interno avendone pieno titolo.
Una di queste, però, credo meriti una grande attenzione da parte dell’opinione pubblica, perché la riguarda direttamente, ed in particolare riguarda il potere di cui essa dispone in seno ad un modello democratico come quello italiano. Mi riferisco al delicato e controverso rapporto tra elettori ed eletti.
Nella cosiddetta Prima Repubblica gli eletti, nella loro attività di ricerca del consenso, guardavano verso gli elettori, ad essi si rivolgevano e da essi ricevevano i voti ed i suggerimenti necessari a conseguire l’obiettivo, sulla base di una proposta programmatica che presentava aspetti generali, legati ai partiti di appartenenza, ed aspetti locali o categoriali, molto problematici, molto condizionati dagli equilibri interni, ma tuttavia presenti.
Nella cosiddetta Seconda Repubblica gli eletti non guardano più agli elettori ma, a causa delle liste bloccate e di chi le compone, vale a dire le oligarchie di partito, guardano ai leader ai quali rispondono quasi del tutto, con ciò contribuendo alla formazione di una classe politica sempre più chiusa e sempre meno vicina alle esigenze dei cittadini.
Si tratta di una classe dirigente centrata su se stessa, ma anche timorosa di deludere o di dissentire rispetto all’opinione dei leader, dunque quasi del tutto incapace di effettuare analisi critiche ed elaborare proposte valide ed efficaci
Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti e non sono certo positivi, anche se questo non significa automaticamente il ritorno alle preferenze, che in passato hanno prodotto una serie di distorsioni, a cominciare dal voto di scambio e dai rapporti con la criminalità organizzata.
Per essere più chiaro, intendo dire che alla indispensabile ricostituzione di un rapporto tra elettori ed eletti, un rapporto che restituisca dignità e significato alla democrazia ed al momento elettorale, posto che le nuove leadership lo vogliano.
Personalmente non credo che esista una simile volontà, tuttavia penso che si possa arrivare all’obiettivo anche attraverso altri metodi: i collegi uninominali, i collegi plurinominali, il sistema proporzionale applicato a collegi uninominali, le elezioni primarie fissate per legge, ecc. Insomma, il problema non è tecnico, bensì politico.
Una cosa è però certa: o i cittadini, in un modo o nell’altro, si riappropriano del loro diritto di scegliere i propri rappresentanti e lo difendono, oppure il loro peso nelle scelte dei vari governi sarà del tutto ininfluente e l’unica cosa che resterebbe da fare sarebbe lamentarsi e mugugnare su qualsiasi argomento.
Dite che lo fanno già? Allora vuol dire che la democrazia rappresentativa voluta dalla Costituzione in vigore ha perso la sua partita, quindi bisogna ripartire da un’Assemblea Costituente che riscriva la Legge fondamentale dello Stato ed i suoi delicatissimi equilibri, rimettendoli in linea con l’essenza stessa della volontà popolare.
Nel caso specifico, lo ripeto, ove vi fosse la reale volontà politica di procedere in tal senso, si dovrebbe pensare ad un’Assemblea Costituente eletta con un sistema rigorosamente proporzionale, al massimo con uno sbarramento molto basso, che escluda gli inutili velleitarismi, con una durata limitata ad un anno o poco più, composta di non oltre 100 membri che non siano parlamentari in carica e che non lo possano diventare subito dopo aver cessato il mandato costituente.
Un organismo con tali caratteristiche, su cui aveva già lavorato il Senato, avrebbe l’autorevolezza e la terzietà necessaria a garantire l’equilibrio ed il buonsenso indispensabili alla elaborazione di una nuova Carta Costituzionale, che sia moderna e soprattutto adeguata alle mutate condizioni del Paese, della politica, della cultura popolare, paradossalmente regredita rispetto a quella del dopoguerra, e della collocazione dell’Italia in Europa.