Con oltre trent’anni di carriera alle spalle, sono testimoni di una storia musicale che continua a scriversi. I loro concerti non sono semplici esibizioni, ma veri e propri rituali collettivi, dove il confine tra palco e pubblico si dissolve, dove ogni nota si trasforma in un’esperienza condivisa. I Negrita tornano dal vivo con ‘Canzoni per anni spietati tour in teatro 2025’, un’occasione imperdibile per rivivere i brani dell’ultimo disco e celebrare i pezzi che hanno segnato intere generazioni.
I Negrita in Sicilia, appuntamento a Palermo e Catania
Due gli speciali appuntamenti in Sicilia: il 9 novembre al Teatro Golden di Palermo e il 10 novembre al Teatro Metropolitan di Catania. Entrambi gli spettacoli, all’interno della tournée organizzata e prodotta da MC2 Live, sono promossi da Marcello Cannizzo Agency. Sul palco Enrico ‘Drigo’ Salvi, Cesare ‘Mac’ Petricich, Giacomo Rossetti, Guglielmo Ridolfo Gagliano, Cristiano Dalla Pellegrina e la voce inconfondibile di Paolo ‘Pau’ Bruni, al quale abbiamo avuto il piacere di rivolgere alcune domande.
L’isola la conoscete dalla notte dei tempi.
“Il primo bassista dei Negrita è stato un siciliano, e anche metà della mia famiglia acquisita ha origini isolane. Il rapporto è ottimo da sempre e non vediamo l’ora di venire a salutare gli amici, sia a Palermo che a Catania”.
Schierate la formazione completa, con un nuovo set e una nuova scaletta per uno show rinnovato in chiave elettrica.
“Quella degli ultimi Negrita è una formazione molto consolidata che va avanti da più di dieci anni. Sei persone, sei musicisti che si conoscono a menadito, basta un colpo d’occhio. Questo facilita anche il nostro percorso di rielaborazione delle canzoni, dello show; ci dà la possibilità di avere le mani in pasta – tutti e sei assieme – sullo stesso materiale. Fa sì che possiamo concentraci soltanto al trasferimento delle emozioni”.
Che significa essere una band?
“Quello che significava esattamente quando abbiamo iniziato. Negli anni Ottanta, dei giovani ragazzi che arrivavano da esperienze culturali e musicali delle generazioni precedenti – quelli dei loro genitori degli anni Sessanta e Settanta – si trovavano per la prima volta nella possibilità di incontrare dei propri simili che avevano gli stessi gusti musicali, le stesse idee socio-politiche, gli stessi valori. La favolosa avventura di un gruppo di persone sempre unite, sempre nello stesso furgone, sempre sopra lo stesso palco… che poteva scatenare un nuovo sound”.
All’epoca del debutto, cantavate ‘Cambio’, ma ha vinto la realtà. Tra rabbia e disillusione, che posto occupa la speranza?
“È l’unica cosa che non può morire, così come il sogno. Anche se la speranza, a volte, potrebbe essere succube di un pensiero controllato o controllabile, diventando un’illusione che non ti fa mai arrivare a un miglioramento”.
Gli esordi nell’età dell’oro del rock italiano, viaggi per il mondo, successi in epoche diverse. Eppure Pau, Drigo e Mac sono ancora più avvelenati che mai.
“Più che avvelenati, consapevoli. Delle persone che hanno forgiato la propria esistenza con questo lavoro, con la possibilità e la capacità di esprimersi. Adesso, diventati adulti, cerchiamo di utilizzare i mezzi che abbiamo a disposizione per raccontare la realtà che ci circonda, anche per analizzarla a volte. Come con questo disco ‘Canzoni per anni spietati’”.
Una storia da leggere verso dopo verso, nata dall’urgenza di raccontare il Paese reale con uno stile diretto e senza compromessi. Non è più tempo di parole ‘leggere’?
“Onestamente, mi sembra che oggi sia tutto incentrato sulla leggerezza. Forse, servirebbe qualcuno che tratti anche argomenti che – per il nostro sistema – possono essere sconvenienti. Fa comodo la persona silente, quella che non disturba il potere. Però noi veniamo da un altro mondo e quello che non ci garba lo denunciamo, finché ci sarà la libertà di parola”.
La musica serve ancora a fare denuncia?
“Ogni musicista è diverso da un altro, quindi generalizzare non serve a niente. Dico solo che ci sono artisti e artisti. C’è un artista che può arrivarti al cuore e stravolgerti l’anima, mentre il suo vicino, nello scaffare dei dischi, non ti fa passare niente. La musica serve a far riflettere. Una ‘Imagine’ di John Lennon, i pezzi di Bob Dylan degli anni Sessanta, fanno questo. E sono i modelli”.
Canzoni consumate in venti secondi, scritte per catturare subito l’attenzione, sacrificando la profondità. Ma non quelle dei Negrita. Qual è il prezzo di questa scelta?
“Paghi se prendi una posizione, soprattutto in Italia dove troppo spesso si ragiona solo da tifoserie opposte. Paghi quando, ancora prima che esca un disco, sai benissimo che gli argomenti trattati non sono di moda e potrebbero anche danneggiarti, in primis nei circuiti delle radio, nelle televisioni. Ma questo l’avevamo già messo in conto. Talvolta, però, paghi un prezzo e, allo stesso tempo, ricevi un premio. La consapevolezza di dire: ‘Okay, almeno ci ho provato, l’ho fatto con tutto il trasporto possibile. Più onesto di così non potevo essere’. E vado a letto in pace con me stesso”.

