“Il contemporaneo è invasivo, cambiamo noi stesse prima di tutto” - QdS

“Il contemporaneo è invasivo, cambiamo noi stesse prima di tutto”

“Il contemporaneo è invasivo, cambiamo noi stesse prima di tutto”

sabato 09 Luglio 2022

Il ruolo della donna negli scatti dell’artista Nerina Toci che si racconta al QdS

ROMA – “La donna non ha un ruolo. Se non quello di esistere. Raccontarla  in un’origine primitiva e pura. Attendere la luce, fuggire, assistere alle contraddizioni. Io sono sempre alla costante ricerca della luce”.
In poche righe Nerina Toci ha già raccontato la sua “filosofia”, il suo rapporto con la fotografia e il ruolo che le donne rivestono nei suoi lavori.
Nasce a Tirana il 21 gennaio del 1988. Nel 2015 inizia a fotografare prediligendo il bianco e nero. Ha esposto in Italia, Albania, Cile e in Francia. Nel 2016 vince il premio “Guido Orlando – Premio fotogra?co Peppino Impastato.” Nel 2017 esce il suo primo libro “L’immagine è l’unico ricordo che ho”, edito da Navarra Editore, con la prefazione di Letizia Battaglia.

Quella della fotografa è una professione soggetta a stereotipi? Il fatto di essere donna ha mai rappresentato un ostacolo alla sua carriera?
“No”.

La donna e il suo dialogo costante con la Natura: questo racconta nel suo terzo libro “Tabloid”. Come nasce questa sua ultima “fatica”?
“È la continuazione del progetto iniziato nel 2017 Un seme di collina è un susseguirsi di domande sul concetto di reale. Un pensiero vago di contaminazione tra oggetto-soggetto-nel mondo. Nei lavori inediti il corpo è geometria come il contesto che lo ospita, oltre il bosco. Trovo la geometria essenziale nel rappresentare le emozioni o i pensieri attraverso il corpo. Non siamo tutto ciò che il reale ci restituisce, ci sono forme illusorie. Non mi piace dare una definizione assoluta. Piuttosto, cercare il senso, anche se tante risposte non si trovano. Tendo sempre a sintetizzare nell’argomentare il risultato, la direzione e il cambiamento”.

Letizia Battaglia che donna era e che ruolo ha avuto nella sua vita e nel suo percorso professionale?
“Era una donna forte, esigente, combattiva, sognatrice. Io e Letizia eravamo legate da un rapporto di amicizia. Ci siamo volute molto bene. Le sarò sempre grata, ha decentrato la mia attenzione dal rappresentare il dolore. Il dolore è una materia sopportabile, ma la bellezza necessita di una forma più densa. È solo grazie a lei se il mio sguardo adesso si posa anche altrove”.

Le pari opportunità sono considerate la grande incompiuta del nostro Paese: colpa delle istituzioni, di una società poco inclusiva o soprattutto colpa di una narrazione della donna spesso troppo condizionata da cliché?
“Il contemporaneo è invasivo, a volte si rischia di perdere il centro. Siamo abbastanza lucide, noi donne, nel dimostrare che non siamo ciò che gli altri possono pensare per pigrizia o per comodo. Patrizia Cavalli diceva che di certo le sue poesie non avrebbero cambiato il mondo, l’intento infatti, secondo il mio punto di vista, è cambiare noi stessi prima di tutto”.

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