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Netanyahu e Putin conquistano territori

Netanyahu e Putin conquistano territori
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Il parallelo fra le due guerre

“Le cœur a ses raisons que la raison ne connaît point”. Parafrasando questo modo di dire possiamo scrivere che lo Stato ha le sue ragioni, che la ragione non conosce.
Israele è stato attaccato il 7 ottobre del 2023 dal gruppo terroristico di Hamas, composto da stupidi che non hanno capito che stavano offrendo il destro, cioé la ragione, per consentire a Netanyahu di mettere in atto un piano che aveva in serbo da più di dieci anni.

Qual è questo piano? Allargare il territorio del suo Paese a Est verso la Cisgiordania, un po’ verso la Siria, a Nord verso il Libano e a Ovest sulla Striscia di Gaza, in modo da far crescere la popolazione israeliana con spazi più ampi e, di conseguenza, sviluppare la sua economia. Ma, in tempo di pace, Netanyahu non avrebbe potuto attuare questo progetto perché continuava a essere presente nel mondo l’idea di “Due popoli due Stati”.
Così, invece, vi saranno due popoli, ma uno che amministra (quello israeliano) e uno che viene amministrato (quello palestinese).

Per la verità, l’espansione sui monti della Cisgiordania è già avvenuta da tempo da parte dei cosiddetti coloni, ma ora essa è notevolmente aumentata. Sono stati occupati territori sia in Siria che in Libano e ora il colpo definitivo è l’annessione, di fatto, della Striscia di Gaza.

L’alibi di Netanyahu è quello di distruggere i gruppi terroristici di Hamas, ancora rifugiati nei cunicoli e sotto i palazzi, ma in fondo a questa ragione c’è la conquista fisica di tutto quel territorio.
La domanda che ne consegue è: che farà quel popolo di due milioni di palestinesi? Se accetterà il progetto di Netanyahu probabilmente perderà tutte le libertà democratiche e politiche, ma innesterà un processo di crescita economica vigoroso perché le industrie israeliane sono tecnicamente all’avanguardia e l’attività turistica è di prim’ordine. In fondo, l’idea peregrina di Donald Trump di trasformare la Striscia di Gaza in un paradiso turistico ricalca questa situazione.
I prossimi mesi ci diranno con chiarezza in quale direzione andrà quella parte del Medio Oriente.

Veniamo all’altra guerra. Putin ha avuto lo stesso progetto di Netanyahu, cioé espandere verso l’Europa il territorio della Russia.
Dobbiamo ricordare che nelle aree contese la lingua russa è diffusa alla stessa maniera di quella ucraina (anche se l’invasione del 2022 ha indebolito lo status del russo), la religione ortodossa russa è diffusa come quella ucraina e gli usi e le tradizioni sono sia russi che ucraini. Quindi la popolazione, di un eventuale cambio di appartenenza, probabilmente non ne risentirà da un punto di vista culturale, ma potrebbe da un punto di vista sociale e politico.

Di fronte a questa fotografia, Trump, contrariamente a Biden, ha preso le distanze dalla precedente decisione di continuare a rifornire di armi l’Ucraina e con ciò ha firmato il requiem delle velleità di Zelensky, il quale, ricordiamo, qualche anno fa espresse la famosa frase: “Vinceremo la guerra”.
Intendiamoci, non stiamo argomentando in favore di Putin. Tutt’altro. Ma il parallelo di questa guerra con quella ebreo-palestinese è evidente e sotto gli occhi di tutti.

Dopo l’incontro del 15 agosto ad Anchorage (Alaska) – ex territorio russo – fra Trump e Putin, il processo che porta alla conclusione di questa guerra è cominciato e finirà con la firma del trattato di pace, oppure con l’adozione della soluzione Corea, quando nel 1953 quella del Nord e quella del Sud decisero di congelare il confine di circa quattro chilometri sul trentottesimo parallelo, che ha resistito per tutti questi anni e che continua a resistere in modo egregio.

Dice Zelensky che per rinunziare al territorio ormai perduto bisognerà modificare la Costituzione ucraina. Tale modifica è prevista dalla stessa Costituzione, quindi non ci sono ostacoli in questo senso. Vi è inoltre la possibilità di sottoporre al referendum l’eventuale trattato di pace, ma, da informazioni non provenienti dalla stampa occidentale, sembra che tale referendum avrebbe un risultato positivo nei confronti di questa ipotesi di pace.
Da quanto precede, risultano inutili e ininfluenti sia l’Onu che la Corte penale internazionale (Cpi). Ne scriveremo dopo.