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Film, “Il buco” per riflettere sul linguaggio cinematografico

Francesco Torre

Film, “Il buco” per riflettere sul linguaggio cinematografico

venerdì 03 Aprile 2020

Centro di detenzione? Esperimento sociale? La fossa è un edificio che si sviluppa in verticale. Ogni piano una cella, ogni cella due ospiti e un solo pasto al giorno. Distribuzione Netflix

IL BUCO
Regia di Galder Gaztelu-Urrutia. Con Ivan Massagué (Goreng), Zorion Eguileor (Trimagasi).
Spagna 2019, 94’.
Distribuzione: Netflix

Centro di detenzione? Esperimento sociale? La fossa è un edificio che si sviluppa in verticale. Ogni piano una cella, ogni cella due ospiti e un solo pasto al giorno. Sempre che chi sta al piano di sopra lasci degli avanzi.

Come tutti i film ambientati in luoghi chiusi ristretti e con pochissimi personaggi, “Il buco” potrebbe essere l’habitat ideale per una riflessione ontologica sul linguaggio cinematografico: filmico e profilmico, intradiegetico ed extradiegetico, fissità e movimento, sguardo onniscente. Chiaramente, però, di tutto ciò al regista Galder Gaztelu-Urrutia non sembra importare molto. La libertà con la quale utilizza macchina da presa, effetti fotografici, digitali e sonori, découpage sembra dipendere esclusivamente dalla loro funzione narrativa, e mai da istanze estetiche né tantomeno etiche.

In tale contesto di rappresentazione, il potenziale riflesso sociopolitico della trama non può che accusare le tipiche semplificazioni dei film distopici per adolescenti, e l’interessante spunto iniziale di sceneggiatura sembra disperdersi abbastanza presto alla ricerca di plausibili motivazioni dell’agire del protagonista e di un valido substrato culturale e filosofico per una lettura stratificata degli eventi.

La seconda parte del film, laddove l’azione prende il sopravvento, sembra la più solida. Il film si sviluppa principalmente all’interno della psiche del protagonista (con riferimenti che vanno dal Vangelo a Cuore di Tenebra alla Divina Commedia), e il suo procedere violento si connota come una sorta di Via Crucis dal finale inspiegabilmente salvifico.

Il richiamo al peso delle responsabilità individuali, tuttavia, è più che attuale. Trasfigurata in visioni raccapriccianti che nulla lasciano all’immaginazione, la violenza generata dalla paura di morire si fa specchio – purtroppo – del periodo storico che attraversiamo, caratterizzato da sentimenti narcisistici e di estremo, quanto distruttivo egoismo.

Voto: ☺☺☻☻☻

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