Il doppio binario solo in Italia
Sentiamo lamenti inappropriati secondo cui i bravi medici vanno via dal nostro Paese, attirati dalla sanità di altri luoghi. È giusto che ciò avvenga, perché ogni professionista deve poter lavorare ove le condizioni tecniche ed economiche gli offrono le migliori chance. Per cui la lamentazione di cui prima è fuori luogo.
Piuttosto, bisogna domandarsi perché la nostra sanità non sia competitiva, in modo da renderla attrattiva per tutta la categoria medica. Quindi la storia parte dalla testa e cioè dall’organizzazione, dall’efficienza del personale e dalla capacità di apprezzare adeguatamente i nostri ospedali, grandi e piccoli, in modo da farli diventare competitivi con quelli esteri.
La questione della competitività, però, esiste anche all’interno del nostro Paese e precisamente fra Nord e Sud per quanto concerne la sanità pubblica, che a sua volta subisce la concorrenza della sanità privata.
Abbiamo tre grandi gruppi privati che gestiscono decine di migliaia di posti letto (Roccella, Rocca e Angelucci), i quali dell’efficienza e delle qualità mediche si fanno un vanto per attrarre sempre di più i malati.
Ma chi può andare verso la sanità privata? Solo quelle persone che hanno disponibilità finanziarie e che quindi possono pagarsi le cure mediche; gli altri, che non hanno disponibilità, devono invece recarsi presso le strutture pubbliche. Una profonda ingiustizia che dovrebbe essere debellata, poiché tutti hanno diritto alle migliori cure possibili.
Nel nostro Paese è stata fatta un’importante legge che istituì il Servizio sanitario nazionale nel 1978. Essa ha esteso il servizio universale a tutti i cittadini, a prescindere dal ceto sociale e dalla loro redditività. A nostro avviso, però, chi ha un reddito di centinaia di migliaia di euro o di milioni l’anno non può avere lo stesso diritto alla gratuità delle cure mediche come chi guadagna trentamila euro l’anno.
Nonostante questo, la nostra sanità pubblica funziona discretamente: bene, più che ottimamente, al Nord e non molto bene al Sud.
Qualcuno attribuisce questo alla carenza di risorse, ma, come scriveremo, la lamentazione non è adeguata.
La gestione organizzativa della sanità pubblica è di scarso livello perché vi sono dispersioni, deficienze, abusi e altre questioni che non consentono l’ottimizzazione delle risorse destinate al settore. Nel 2025 esse saranno di circa 136 miliardi, più qualche decina di miliardi che immettono le Regioni. Quindi si tratta di una cifra cospicua che supera il dieci per cento di tutte le uscite dello Stato.
Se fosse ben utilizzata, l’efficienza delle prestazioni sanitarie migliorerebbe fortemente e le qualità indubbie di medici e infermieri risalterebbero, accontentando le richieste dei cittadini bisognosi, perché malati.
In effetti così non è, mentre sentiamo voci di incapaci a vedere la realtà che continuano a sostenere come la sanità privata non dovrebbe esserci. Ma noi ribadiamo la fortuna che ci sia.
Vi è, nel nostro sistema sanitario, un’incongruenza difficile da comprendere, che peraltro è tutta italiana, e che vi illustriamo di seguito.
Di che si tratta? Del fatto che i medici che lavorano nella sanità pubblica possono parimenti lavorare nella sanità privata mediante i propri studi professionali, anche collettivi, o addirittura possono lavorare all’interno delle strutture pubbliche con la cosiddetta intramoenia.
Questo fatto può produrre – non diciamo sempre – delle distorsioni, in quanto alcuni medici potrebbero essere tentati di rallentare il lavoro nel pubblico per spostare la domanda verso il privato. E in ogni caso, quando manca la competizione di due soggetti generali (i medici che lavorano nel pubblico e quelli che lavorano nel privato), la conseguenza è che la qualità si abbassa.
Se fosse fatto divieto ai medici che lavorano nel settore pubblico di lavorare anche in quello privato, essi esalterebbero la propria appartenenza, diventerebbero più competitivi e cercherebbero di gareggiare con i medici del settore privato, ad armi pari.
Sappiamo che quanto prospettato in Italia non si farà, ma vi prospettiamo la questione affinché possiate farvi un convincimento con la vostra testa e non con quella degli altri.