Ricordiamo quanto scriveva Nicolò Machiavelli (1469-1527): “Il fine giustifica i mezzi”. Non sempre l’assunto è condivisibile: dipende se il fine è buono o cattivo. Non solo: anche l’intendimento di chi se lo pone conta. Cosa vuole raggiungere? Qual è il suo scopo? Con quali mezzi? Se lo fa senza guardare in faccia a nessuno.
La questione non è di poco conto perché riguarda sia eventi internazionali che nazionali e locali. Ma anche il comportamento di chi agisce nel mondo dell’economia, delle imprese, delle professioni, dell’artigianato. Riguarda i sindacati che rappresentano i dipendenti e tutte le altre forme sindacali, innumerevoli, che esistono nel nostro Paese.
Per esempio, nel Cnel (Consiglio nazionale dell’Economia e del Lavoro) sono registrati oltre mille contratti nazionali di lavoro, anche da parte di sindacati che hanno una rappresentanza esigua. La mancata attuazione dell’articolo 39 della Costituzione non consente la trasparenza e la vera rappresentatività delle organizzazioni dei lavoratori.
Provocatoriamente potremmo sostituire il termine fine con il termine fine. Non sembri un gioco di parole: il primo è un sostantivo maschile, il secondo è femminile. Il fine è anche scopo, traguardo, punto finale di un percorso.
La fine è il termine di qualcosa o di qualcuno, come la morte o la cessazione. O quella di un procedimento di lavori e di altre attività che hanno un principio e una conclusione.
L’accordo fra parti diverse dovrebbe sempre contenere il fine e la fine. Il primo riguarda l’obiettivo e la seconda, il tempo necessario per raggiungerla.
L’italiano è ricchissimo di parole e di termini, forse duecentomila, cosicché per gli stranieri impararlo bene è molto difficile, anche se una volta conosciute grammatica e sintassi sono sufficienti qualche centinaio di frasi idiomatiche e qualche decina di migliaia di parole per potersi esprimere, tutto sommato, correttamente nella lingua di Dante.
Molto più semplice è l’inglese, che ha una struttura grammaticale e sintattica molto snella e che si può parlare anche con frasi fatte.
Fine è anche un limite (“Io sono al fine della mia possanza”, scriveva Dante) e inteso come confine, per esempio quello fra Paesi diversi.
Secondo il concetto filosofico, fine nel significato di scopo rappresenta il termine dell’azione umana, che richiama il dovere e il valore, un concetto ripreso anche da Kant nel “Regno dei fini”.
Al di là di queste modeste citazioni, riteniamo che ogni persona umana abbia il dovere di porsi il fine della propria esistenza per giustificare la fine della propria vita.
Si tratta di un tema ricorrente in questi editoriali: l’utilizzo al meglio e nel modo più intenso possibile del tempo che abbiamo a disposizione da quando nasciamo a quando moriamo. Può essere poco o tanto. Si può essere sfortunati e morire in età giovane o morire in età avanzata. Oppure si può trascorrere gran parte della vita in buona salute, ovvero essere afflitti da malattie.
In ogni caso, dobbiamo fare il possibile, e l’impossibile, per darci un progetto di vita funzionale, che tenga conto delle difficoltà che inevitabilmente ci vengono incontro e ipotizzando i mezzi per poterle fronteggiare e possibilmente superare.
Ovviamente questo non è sempre possibile, ma ce la dobbiamo mettere tutta per riuscire nell’intento di realizzare quello che ci proponiamo. Per questa ragione dobbiamo tentare di allungare lo sguardo e di guardare il più lontano possibile, anche oltre l’orizzonte.
Non serve avere i dieci decimi della vista, ma avere qualche occhio in più nel nostro cervello. Quell’occhio che è la nostra immaginazione e rappresenta perfino i nostri sogni. Ma sogni tenendo sempre i piedi ben piantati sulla terra.
C’è un inizio e un termine, si scriveva prima. Di ogni cosa, di ogni circostanza e di noi stessi. Male fanno quelle persone che oziano e che sprecano il tempo che hanno a disposizione non impegnandosi in alcuna attività o in attività vuote, senza scopo, che prima o dopo li rende persone inutili a sé stesse e agli altri.
Sì, perché in questo concetto vi è il principio di socialità e di altruismo, secondo cui non basta avere scopi, cioé fini, personali, ma anche collettivi. Ci dobbiamo chiedere cosa possiamo fare per gli altri e non cosa gli altri possono fare per noi.

