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I numeri che smentiscono “l’affare riarmo”. Perché non conviene investire sulla guerra

I numeri che smentiscono “l’affare riarmo”. Perché non conviene investire sulla guerra
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Anche in termini economici, oltre che umanitari, è meglio lavorare per la pace anziché puntare sulle spese militari. Le industrie belliche creano più posti di lavoro: un assunto “messo in crisi” dai dati statistici

Anche in tempi di guerra, soprattutto di fronte agli stermini della popolazione civile, far accettare all’opinione pubblica l’aumento delle spese militari a fronte di un sistema sanitario e di un welfare sottofinanziato, certamente, per qualsiasi governo, non è un compito facile. E poiché anche evocare lo spettro della guerra con la Russia, evidentemente non è bastato, allora – scrive Gianni Alioti – “è meglio giocarsi la carta delle ricadute industriali e occupazionali”. Tuttavia, nonostante l’euforia dei mercati finanziari, impegnati a investire una montagna di soldi nei titoli di borsa delle principali industrie militari europee, “il rischio di un abbaglio sulle aspettative in termini di ricadute occupazionali è molto forte”.

I ricavi dell’industria militare cresciuti del 65% (2014-2023)

Secondo il rapporto pubblicato a novembre 2024 da Asd, European aerospace, security and defence industries che riguarda i 27 Paesi Ue, oltre la Norvegia, il Regno Unito e la Turchia, i ricavi nell’intera industria del settore militare in Europa (2014-2023) sono cresciuti del 65%, mentre l’occupazione è aumentata del 26% da 407 mila e 800 a 518 mila addetti. La stessa dinamica occupazionale rivelano i dati dei bilanci aziendali di 10 tra le principali aziende dell’industria aerospaziale e della difesa europea per fatturato militare, analizzati da Gianni Alioti. “Dal 2015 al 2024 il numero dei loro occupati (nel civile e militare) è cresciuto in media del 23%”. Sulla base dei trend occupazionali registrati a consuntivo negli ultimi dieci anni, “possiamo azzardare – sottolinea Alioti – alcune stime sull’incremento dei posti di lavoro diretti e indiretti nell’industria della difesa in Europa nel prossimo periodo 2025-2035, prendendo a riferimento le previsioni di aumento delle spese militari decise in ambito Nato”.

Aumento dei posti di lavoro in campo militare

“Nel vertice di giugno a l’Aia – aggiunge è stato deciso che i Paesi europei dell’alleanza atlantica debbano arrivare, entro il 2035, a spendere un più 1,5 per la “sicurezza allargata” e a raggiungere entro il 2035 una spesa specifica in campo militare almeno del 3,5% del loro Pil. Le spese militari complessive passerebbero, quindi, da 440 a 969 miliardi di euro l’anno. Un incremento pari al 120 per cento, una percentuale simile a quella registrata nel periodo 2014-2024. Pertanto, in base a quanto già successo negli ultimi dieci anni, possiamo ipotizzare realisticamente un aumento dei posti di lavoro in campo militare nell’industria aerospaziale e della difesa in Europa intorno al 25-30%. A fronte di una folle spesa di 800 miliardi aggiuntivi in 4 anni, in Italia 30-35 miliardi in più all’anno, l’impatto sul lavoro è alquanto modesto. In alcuni casi concreti e circoscritti potrà rallentare la deindustrializzazione, ma non la invertirà”.

Se le stesse risorse venissero investite in sanità, educazione, ricerca universitaria, transizione energetica e digitale, ambiente e welfare, a parità di spesa, si creerebbero dal 40 al 120 per cento in più di posti di lavoro. Per tutti questi motivi, l’aumento dell’occupazione nel settore della difesa è considerato da alcuni analisti modesto rispetto all’aumento delle spese militari registrato a livello globale e in Europa. I numeri parlano chiaro: per le armi e la difesa i Paesi sono pronti a spendere sempre di più e la spesa militare globale è già cresciuta, solo tra il 2023 e il 2024, del 9,4%. In base ai dati analizzati dal Sipri, l’istituto di ricerca per la pace internazionale di Stoccolma, che dal 1966 realizza ricerche su conflitti, armamenti e disarmo, nel 2024 il mondo ha investito in armamenti circa un decimo in più rispetto all’anno precedente ma le ricadute occupazionali sono state molto al di sotto delle aspettative.

Cresciuto il valore dei titoli della difesa

Anche i dati ufficiali del Consiglio europeo ci dicono che dal 2014 al 2024 nei paesi dell’Unione europea le spese militari sono più che raddoppiate a prezzi costanti (+121%). Sono passate da 147 a 326 miliardi di euro e, a fronte di risultati modesti sul piano dell’occupazione, è cresciuto il valore dei titoli della difesa. Nei soli primi tre mesi del 2024 i titoli della difesa hanno visto il loro valore aumentare del 22%, ovvero il triplo rispetto all’indice azionario globale. Se si restringe l’analisi ai soli big europei i guadagni sono stati di ben il 42% per la tedesca Rheimetall (produce i carri armati Leopard) che in 90 giorni ha quasi raddoppiato il suo valore di borsa (+82%), la Hensoldt (radar e sensori) segue con un +80%, la svedese Saab e l’italiana Leonardo con +56%, mentre Fincantieri è nona con un +22%.

Lavoriamo tutti per la pace in Medio Oriente e in Ucraina

Non diverse le conclusioni del “Bruegel-Kiel Report”, il nuovo rapporto, frutto della collaborazione di Bruegel e Kiel Institute, specializzati in ricerche economiche, che ha evidenziato che l’Europa dovrebbe spendere circa lo 0,12% del suo Pil in più per mantenere gli aiuti all’Ucraina e rafforzare la propria difesa. L’analisi dei dati dimostra ampiamente che raddoppiare o triplicare la spesa militare in Europa, oltre a non cambiare gli equilibri strategici e funzionare come deterrenza, non rappresenta un’inversione di tendenza alla crisi industriale europea e ai processi di deindustrializzazione che coinvolgono numerosi settori e territori. Tale dinamica non alimenta né una forte espansione produttiva, né tanto meno l’aumento dell’occupazione. E allora, sperando che Hamas accetti la proposta di pace di Trump, lavoriamo tutti per la pace in Medio Oriente e in Ucraina.


Pina Travagliante
Professore ordinario di Storia del pensiero economico presso l’Università degli Studi di Catania