Home » Inchiesta » Occupazione: l’Italia è ultima nell’Ue. I divari tra Nord e Sud condannano l’intero Paese

Occupazione: l’Italia è ultima nell’Ue. I divari tra Nord e Sud condannano l’intero Paese

Occupazione: l’Italia è ultima nell’Ue. I divari tra Nord e Sud condannano l’intero Paese

Il tonfo, con un indice al 67,1%, è stato rilevato da Eurostat. L’Olanda, prima con l’83,5%, è lontana anni luce

ROMA – Pur essendo ciò su cui la Costituzione fonda la Repubblica italiana, il mondo del lavoro al momento non pare affatto uno dei punti di forza della Penisola. Né dentro i confini nazionali, né tantomeno agli occhi degli altri Paesi europei. Un mercato che fatica a sbloccarsi, politiche fin qui poco influenti, lavoratori sempre più anziani e giovani in fuga. Il risultato è ben che servito: in Europa non c’è un tasso d’occupazione peggiore di quello italiano. Questo è il pesante verdetto che emerge dalle tabelle Eurostat relative alle dinamiche occupazionali nei ventisette Paesi dell’Unione europea. In quanto a numero di occupati rispetto alla popolazione in età lavorativa (per tale intendendosi quella compresa nella fascia tra i 20 e i 64 anni), la Penisola si piazza infatti all’ultimo posto in Ue. Un risultato che porta con sé uno strascico non indifferente, rendendo l’Italia non solo il Paese europeo più lento dal punto di vista occupazionale, ma anche quello con i più gravi divari territoriali in termini di opportunità e posizioni lavorative. Insomma, oltre a essere la nazione col maggior numero di disoccupati, è anche quella con i livelli più accentuati di iniquità tra le sue regioni. Si potrebbe dire una vera disfatta.

Fanalino di coda in Europa: il distacco con gli altri Stati aumenta nel tempo

Non sono certo i decimali a fare la differenza nella partita che condanna la Penisola sul fondo della classifica europea. Anzi, lo scarto che intercorre tra il pessimo risultato italiano e quello degli altri Paesi è notevole. Secondo i dati Eurostat più aggiornati (che fotografano la situazione al 2024) l’Italia ha un tasso d’occupazione per la popolazione tra i 20 e i 64 anni al 67,1%, il che significa che la platea dei disoccupati corrisponde a circa un terzo della popolazione in età lavorativa. Uno scenario non solo desolante in sé, ma anche molto lontano sia dalla media Ue (pari al 75,8%), sia rispetto alle cifre raggiunte dai Paesi più virtuosi. Prima nella classifica europea è l’Olanda, con un tasso d’occupazione all’83,5%. Segue Malta al secondo posto (83%) e la Repubblica Ceca al terzo (82,3%). Buoni risultati vengono conseguiti da nazioni come la Germania, sesta in Ue con un tasso d’occupazione all’81,3%, così come da diversi Paesi del versante orientale, per esempio la Polonia, tredicesima con un’indice al 78,4%.

Visto il tasso registrato nella Penisola (67,1%), rispetto alla vetta della classifica c’è un baratro di 16,4 punti percentuali e, in ogni caso, uno scarto significativo nei confronti della quasi totalità dei Paesi europei la cui popolazione occupata supera comunque la soglia del 70%. Insomma, l’Italia è fanalino di coda in Europa non in ragione di divari statistici dello “zero virgola”, ma per vere e proprie voragini. Ci sono soltanto altri due Paesi con un tasso d’occupazione inferiore al 70%. Si tratta di Grecia e Romania, rispettivamente al penultimo e al terzultimo posto in Ue, con tassi al 69,3% e al 69,5%. Risultati che, per quanto critici, a differenza di quello italiano tendono comunque al limite del 70%, senza raggiungerlo per meno di un punto percentuale. Rispetto a questo limite, invece, l’Italia resta sotto di ben 2,5 punti.

Un altro aspetto che emerge dai dati Eurostat, riguarda l’incremento nel tempo dei divari statistici tra l’Italia e il resto dell’Ue. In base al monitoraggio, nel passaggio da un anno all’altro, in certi casi i tassi di occupazione degli altri Paesi hanno aumentato il loro distacco da quello italiano anche del 100%. Per il 2024, infatti, tra l’occupazione in Italia e quella in Grecia intercorre uno scarto del 2,2% (il più elevato d’Europa, visto che i gap tra le altre nazioni vanno dallo 0,1 all’1,7%). L’anno precedente, il divario tra Italia e Grecia si attestava invece all’1,1%, con tassi di occupazione rispettivamente al 66,3 e al 67,4. Questo evidenzia come, nel passaggio dal 2023 al 2024, il gap occupazionale che penalizza l’Italia nel contesto comunitario non è solo aumentato, ma è di fatto raddoppiato.

Tra Nord e Sud la disparità più marcata dell’Ue

In quanto ultimo Paese europeo per occupazione, va da sé che in Italia si trovano anche i territori con gli indici in assoluto più bassi tra le regioni Ue. Queste aree (si veda l’edizione del Quotidiano di Sicilia di giovedì 16 ottobre) sono la Sicilia, la Campania e la Calabria, con un’occupazione al 50,7, al 49,4 e al 48,5%. I veri chiudi fila d’Europa, dunque, si trovano tutti nel Sud Italia. Il dato parla da sé: a determinare il deludente piazzamento del Paese nel contesto comunitario, è soprattutto la condizione occupazionale del Mezzogiorno. Un’area lasciata indietro per anni a macerare in una condizione di sottosviluppo e che adesso – il report Eurostat lo dimostra a chiari numeri – “appesantisce” l’intero Paese. E, in aggiunta, sembra che le politiche nazionali di coesione (quelle cioè che puntano a colmare gap territoriali e divari di cittadinanza) non abbiano sortito alcun effetto. Nonostante il tasso d’occupazione in crescita nel Sud Italia sia stato accolto e narrato dal Governo e dalla premier Meloni come un dato da record, in realtà gli indici del 2025 parlano più di invecchiamento dei lavoratori e di spopolamento che di ripresa economica, come analizzato nelle precedenti edizioni di questo giornale. Il Meridione, dunque, continua a essere più lento del resto del Paese sul fronte occupazionale.

Un particolare che non è sfuggito neppure a Eurostat che, nel suo Annuario delle Regioni europee 2025 ha rilevato esplicitamente che “nel 2024 l’Italia ha la più alta disparità regionale per i tassi d’occupazione”. In sostanza, per quanto riguarda i dislivelli interni del mercato del lavoro, nessun Paese europeo registra disuguaglianze territoriali più accentuate di quelle che intercorrono tra le regioni italiane. E trattandosi di divari che interessano nel dettaglio il confronto tra Nord e Sud della Penisola, ne consegue che gli sforzi per favorire la crescita dell’occupazione nel Mezzogiorno potrebbero non essere ancora sufficienti.

Il tasso d’occupazione del Nord Italia è del 75%, quello del Centro del 71,9%, quello del Mezzogiorno del 53,4%. Si tratta dunque di una frattura tra le due aree del Paese (Centro-Nord e Sud) che si aggira intorno a una media del 20%. Più che di due velocità, parliamo di due mondi diversi. Al punto che, senza il dato del Mezzogiorno, il tasso d’occupazione italiano salirebbe dal 67,1 a circa il 73% – pur tenendo conto della relatività di questo dato, legata alle flessioni dovute soprattutto alla variazione del numero di abitanti – permettendo alla Penisola di guadagnare immediatamente quattro o cinque posizioni nella classifica Ue. L’assenza di politiche capaci di invertire la rotta del Mezzogiorno italiano, dunque, non è soltanto un problema meridionale, ma travolge la competitività dell’intero Paese nel quadro europeo.

Gap italiani al 30%, negli altri Paesi in difficoltà sono tra l’8 e il 9%

Le grandi differenze occupazionali nella Penisola non riguardano soltanto le macroaree, ma anche le singole regioni. Come detto, nessun altro tasso d’occupazione (in Italia come in Europa) è peggiore di quello di Sicilia, Campania e Calabria, i cui indici si aggirano intorno al 50%. Una regione dell’Italia settentrionale come il Veneto, la cui popolazione è molto simile a quella siciliana, registra un tasso d’occupazione del 75,6% (oltre 25 punti in più rispetto ai suddetti dati meridionali). La Lombardia, con un grande numero di abitanti, riesce comunque a raggiungere il 74,8% di occupati. La provincia autonoma di Bolzano (sebbene qui un ruolo venga giocato dalla bassa popolazione) riporta un tasso d’occupazione quasi dell’80%. I gap occupazionali italiani, dunque, toccano picchi anche del 30%: un grado di disparità interna che, appunto, non ha eguali in Ue.

Neppure quegli altri Paesi europei la cui occupazione è sotto la soglia del 70% presentano livelli così accentuati di disunione territoriale. In Grecia, penultima in Europa, il gap tra le aree interne non supera comunque l’8,8%, divario che intercorre tra la regione col più alto livello di occupazione, il Peloponneso (73,2%), e l’area con l’indice più basso, la Tessaglia (64,8%). Il complessivo tasso d’occupazione greco (69,3%), è dunque il risultato di una situazione lavorativa senz’altro difficile, ma distribuita in modo abbastanza omogeneo su tutto il territorio. Lo stesso vale per il terzultimo Paese dell’Ue, la Romania, dove, a parte l’impennata della regione di Bucarest (81,1%), nel resto del Paese il tasso varia da un minimo di 62 a un massimo di 71 punti percentuali.

Un esempio ancora più significativo è offerto da una nazione con un tasso d’occupazione medio basso come la Francia, ventesima in Ue con un indice al 75,1%. Pur non raggiungendo la parte più alta della classifica, nel Paese il gap occupazionale massimo si attesta al 10,1%, intercorrente tra la regione più virtuosa dell’Aquitania (78,7%) e quella con l’indice minore di Nord-Passo di Calais (69,6%). Un divario non da poco, ma di certo neppure drammatico come le disuguaglianze da 30 punti percentuali che separano le regioni italiane. Anche nel caso francese, dunque, il risultato complessivo è determinato da contesti occupazionali interni che, dal punto di vista statistico, non divergono eccessivamente gli uni dagli altri. La posizione di estremo svantaggio del Mezzogiorno italiano rispetto al Nord, invece, è tale da incidere pesantemente sul tasso di occupazione nazionale, configurando una situazione in cui la scarsa efficacia delle politiche per il Sud genera (oppure mantiene) un problema che non resta territorialmente circoscritto, ma che coinvolge crescita, sviluppo e solidità dell’intero Paese.