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Oltre 40 mila atti criminali contro l’ambiente. Sud più colpito, in Sicilia dieci reati al giorno

Oltre 40 mila atti criminali contro l’ambiente. Sud più colpito, in Sicilia dieci reati al giorno
ABUSI ADILIZI ABUSO COSTRUZIONE ILLEGALE

Legambiente: introdurre sanzioni penali per i dirigenti che non procedono alle demolizioni degli abusi edilizi

ROMA – Un quadro allarmante che va affrontato con il potenziamento delle norme di contrasto all’illegalità, ma anche con investimenti dell’educazione civile. La presentazione del nuovo rapporto Ecomafia conferma come l’ambiente in Italia continui a essere minacciato da una varietà di fenomeni e comportamenti che non solo pregiudicano la qualità della vita quotidiana, ma rischiano di mettere un’ipoteca anche sul futuro. Lo studio di Legambiente è stato al centro del dibattito svoltosi ieri a Roma. A intervenire sono stati esperti e rappresentanti delle istituzioni, che a più riprese hanno sottolineato come la sfida debba coinvolgere l’intera società civile. “Si può vincere solo se si uniscono le forze, si ascoltano i territori, si sostiene chi denuncia e si valorizzano le buone pratiche”, è stato detto in apertura dell’incontro.

Il rapporto del 2025 arriva nel decennale della legge 68 del 2015 che ha introdotto nel codice penale i reati ambientali. Da allora le azioni repressive da parte delle autorità si sono intensificate, ma resta condivisa il convincimento che, a fronte di numeri in aumento in merito all’accertamento delle condotte illecite, esista un’ampia porzione di illegalità che resta fuori dai radar. A ciò si aggiunge il ruolo della criminalità organizzata. Nel 2024, il 42,6 per cento dei reati denunciati ha riguardato la Sicilia, la Calabria, la Campania e la Puglia, ovvero le quattro regioni in cui hanno le radici le mafie in Italia. “I clan investono in settori vitali dell’economia, orientano i servizi essenziali e tutto ciò compromette la qualità della democrazia, facendo crescere sfiducia e disuguaglianze”, ha detto Enrico Fontana, responsabile dell’Osservatorio nazionale ambiente e legalità di Legambiente.

Il fatturato che ruota attorno ai reati ambientali

I dati dicono che l’anno passato sono stati più di 40mila i reati accertati commessi contro l’ambiente, pari a un incremento del 14,4 per cento sul 2023, mentre le persone che sono state denunciate sono state 37.186, delle quali 225 destinatarie di misura cautelare. Il fatturato che ruota attorno ai reati ambientali è di diversi miliardi di euro, mentre i settori più colpiti dai comportamenti illeciti continuano a essere la filiera del cemento e il ciclo dei rifiuti.

Nel primo caso, si tratta del 33,36 per cento dei reati commessi nel 2024; tra essi spiccano gli abusivismi edilizi, le minacce alle aree demaniali, le cave illegali e le infiltrazioni negli appalti pubblici. “In tutti i casi di scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni mafiose troviamo mancate demolizioni di immobili abusivi a soggetti legati alla criminalità organizzata”, ha sottolineato Fontana, che a nome di Legambiente ha suggerito alla Commissione parlamentare antimafia di avviare un’indagine conoscitiva sul fenomeno. Per l’associazione, inoltre, sarebbe fondamentale adottare un piano nazionale di lotta all’abusivismo con risorse adeguate per i Comuni, per arrivare all’abbattimento degli immobili, e nel caso di inadempienze degli enti locali introdurre sanzioni penali per i dirigenti che non adottano i dovuti provvedimenti. Chiesta anche l’estensione del potere sostitutivo delle prefetture in caso di inerzia dei Comuni.

I reati commessi nella gestione della spazzatura

Crescono anche i reati commessi nella gestione della spazzatura. “Siamo in presenza di un mercato criminale”, ha commentato il responsabile dell’Osservatorio di Legambiente. I reati legati al ciclo dei rifiuti rappresentano il 27,5 per cento del totale, fra discariche abusive e traffici – soprattutto di fanghi di depurazione, che da soli costituiscono oltre il 40 per cento dei materiali che vengono gestiti illegalmente –, e hanno segnato un aumento del 20 per cento rispetto al 2023. A tal proposito, tra le proposte che Legambiente ha allegato al rapporto c’è l’inasprimento delle sanzioni, trasformando in delitti gli attuali reati di natura contravvenzionale, con un aumento delle pene per il delitto di traffico organizzato di rifiuti da tre a otto anni, e di dieci anni in caso di rifiuti radioattivi.

I reati contro gli animali

Al terzo posto – 17,8 per cento del totale – ci sono i reati contro gli animali. “Inserire nel titolo IX is del codice penale i delitti contro la fauna e le specie protette, dal bracconaggio ai traffici illeciti, come prevede la direttiva europea per la tutela penale dell’ambiente, con una pena minima di tre anni di reclusione”, è la proposta che fa Legambiente. In questa specifica tipologia di reati la Sicilia è in testa: 1015 reati sui complessivi 7222 registrati nel Paese, con Palermo terza provincia d’Italia dopo Genova e Napoli.

A livello regionale la Sicilia è al terzo posto tra quelle con più illeciti, dietro la Campania e la Puglia, ed è seguita da Calabria e Lazio. La Lombardia – ottavo posto – è la prima regione del Nord. Nell’isola, l’anno scorso, si sono registrati il 9,4 per cento dei reati commessi nell’intero Paese: 3.816 su oltre 105mila controlli. Oltre 3600 le persone denunciate, mentre 12 sono state arrestate. Sul fronte amministrativo sono stati 5622 gli illeciti contestati per 5700 sanzioni irrogate.

Classifica delle 20 province con il più alto livello di illegalità

Nella classifica delle 20 province con il più alto livello di illegalità nel 2024, Palermo – unica città siciliana – occupa la settima posizione con 774 reati. Guida la graduatoria Napoli, seguita da Bari, Salerno, Roma e Cosenza. La Sicilia si attesta ai primi posti anche tra le regioni con il più alto numero di indagini per corruzione in materia ambientale: dall’1 maggio 2024 al 30 aprile 2025, sono state otto le inchieste giudiziarie aperte con 29 persone denunciate e 35 arresti. Nove, invece, i sequestri disposti dai tribunali. Numeri che piazzano l’isola al quarto posto, dopo Campania, Lombardia e Puglia.

Nel rapporto Ecomafia 2025 anche gli incendi

A trovare spazio nel rapporto Ecomafia 2025 sono anche gli incendi. Quello passato è stato un anno in cui i casi di roghi dolosi sono diminuiti, tuttavia l’attenzione deve rimanere alta. Per la Sicilia, peraltro, il sollievo è stato molto relativo: l’isola, infatti, insieme alla Calabria sono state le due regioni più colpite e da sole hanno registrato il 54 per cento delle superfici andate in fumo. Il dato siciliano è eloquente: 17.554 ettari distrutti sui circa 50mila andati a fuoco nell’intero Paese. A dimostrazione, una volta di più, di come gli incendi restino una piaga per l’ambiente e per l’incolumità delle persone. Un fenomeno su cui ancora non si è fatta chiarezza in merito al possibile coinvolgimento, in termini di interessi, da parte della criminalità organizzata, ma che di certo soffre un misto di responsabilità e omissioni da parte sia delle istituzioni che dei comuni cittadini.

A riguardo tra le proposte presentate da Legambiente c’è quella di estendere le pene previste per il reato di incendio boschivo a qualunque incendio di vegetazione nelle aree di maggiore importanza per la biodiversità, come nel caso di siti Natura 2000, parchi, riserve e aree sottoposte a vincolo paesaggistico. Chiesto anche l’aggravamento della fattispecie colposa.

Sei reati su dieci riguardano cemento e rifiuti. Busia (Anac): “Spesso usati soldi pubblici”

Più del 60 per cento dei reati commessi ai danni dell’ambiente in Italia sono legati alle filiere del cemento e dei rifiuti. Il dato, che di certo non sorprende ma non per questo tranquillizza, è stato al centro dell’intervento di Giuseppe Busia, il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac). Ieri, Busia è intervenuto nella Sala del refettorio di Palazzo San Macuto, dove si è svolta la presentazione dell’ultimo rapporto Ecomafia curato da Legambiente.

“Vedere al primo posto il cemento e al secondo i rifiuti indica che i soldi pubblici sono usati troppo spesso per commettere questi reati e questo, per noi che ci occupiamo di appalti pubblici, è un allarme serissimo”, ha commentato Busia, sottolineando come “la criminalità si appropria delle risorse pubbliche e su questo bisogna intervenire, non possiamo permettercelo”.

La riflessione offerta da Busia poggia su un approccio realistico: nonostante l’impegno delle forze dell’ordine, è chiaro che la repressione non basta e che sono tanti i casi che non arrivano all’attenzione delle autorità giudiziarie. “Occorre lavorare sulla prevenzione, su tutti quegli elementi che riescono a ridurre il rischio che si crei questo scandalo”, ha aggiunto il presidente dell’Anac.

Da lì a ragionare sulle modalità con cui oggi vengono gestiti gli appalti pubblici, nella fase di selezione degli operatori economici, il passo è stato breve. “Gli affidamenti diretti rappresentano il 98 per cento di tutti gli affidamenti”, ha ricordato Busia, spiegando che, per quanto queste scelte avvengano all’interno delle previsioni del codice degli appalti, ciò non dovrebbe sollevare le stazioni appaltanti dal porsi delle domande sull’opportunità di compiere queste scelte.

“Siamo proprio certi che si ha necessità di ricorrere a questo?”, ha chiesto Busia. Il sottotesto, per chi non è avvezzo alla materia appaltistica, è questo: il fatto che il codice degli appalti voluto dal governo Meloni abbia innalzato la soglia sotto la quale si può affidare direttamente un lavoro pubblico senza bisogno di indire una gara non impedisce agli enti pubblici di agire diversamente e scegliere di consultare il mercato. “Senza confronto competitivo aumentano i costi e diminuisce la qualità, e si finisce per non premiano le imprese migliori”, ha spiegato Busia. Un appello che però, come accertato da Anac nei mesi scorsi nell’ambito di un’indagine conoscitiva, a livello nazionale finora non è stato ascoltato.

Altro elemento di criticità in cui si inseriscono i reati ambientali è quello relativo al ricorso al cosiddetto subappalto a cascata, ovvero la possibilità per l’impresa che si aggiudica un lavoro pubblico di affidare l’esecuzione a una ditta, la quale a propria volta può cedere parte del contratto a una terza impresa, e così via. Un fenomeno che è spesso finito al centro delle critiche, sia da parte di coloro che vedono nei subappalti il terreno più fertile per le infiltrazioni mafiose ma anche da chi ha messo in luce l’aumento dei rischi per la salute dei lavoratori.

“Il subappalto a cascata sappiamo perfettamente che è previsto dalle regole europee, ma sappiamo anche che le stazioni appaltanti, in più casi, possono derogare a questo elemento – ha commentato Busia –. E una delle circostanze in cui è necessario derogare è quando farlo è utile a salvaguardare l’ordine pubblico. Con il subappalto a cascata perdono tutti, tranne quelli che se ne approfittano per arricchirsi”.