Onere della prova a carico del Fisco: vecchia novità - QdS

Onere della prova a carico del Fisco: vecchia novità

Salvatore Forastieri

Onere della prova a carico del Fisco: vecchia novità

giovedì 11 Maggio 2023

Contenzioso tributario, il principio stabilito dalla Legge 130/2022 (art. 6). In caso di accertamenti è l’Amministrazione che deve dimostrare la condotta illegale del contribuente

ROMA – Vogliamo parlare oggi della norma contenuta nell’articolo 6 della legge 130 del 31 agosto 2022, la quale, modificando l’articolo 7 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (contenzioso tributario), ha aggiunto, dopo il comma 5, un altro comma: “5-bis. L’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni. Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati”.

Per la verità, tale nuova disposizione, seppure bene accetta, lascia molto perplessi, perché, quanto meno a prima vista, è come se fosse stato necessario riaffermare questo principio che, invece, doveva essere dato per scontato da tutti e sempre applicato dagli uffici fiscali.

A prescindere dalle disposizioni previste dalla nostra Costituzione, e segnatamente l’articolo 53 (imposizione in base alla capacità contributiva) e l’articolo 97 (buon andamento ed imparzialità della Pubblica amministrazione), ci sono le numerose disposizioni inserite nelle norme riguardanti i diversi tributi in vigore (Iva: art. 56 del Dpr 633/72, Iidd: art. 42 del Dpr 600/73, Registro: art.52 Dpr 131/86, Sanzioni: articoli 7 e 16 Dl 472/97, ecc.) che comunque impongono agli uffici di notificare i propri avvisi di accertamento o di irrogazione di sanzione motivando adeguatamente ogni rilievo mosso al contribuente.

C’è anche l’articolo 2697 del Codice Civile, intitolato “Onere della prova”, il quale, al primo comma, prevede testualmente che: “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda”.

Ma, anche in materia di contenzioso, sia dall’articolo 35 (deliberazioni del collegio giudicante), che tra l’altro richiama pure l’articolo 276 del Cpc nel quale, all’ultimo comma, è espressamente prevista la stesura della sentenza con la motivazione, sia dall’articolo 36 (contenuto della sentenza), nel quale, tra i dati essenziali della sentenza, c’è pure la motivazione in fatto ed in diritto, risulta (anzi è sempre risultato) assolutamente evidente che, non solo l’Ente impositore è obbligato a motivare i propri atti, pena nullità degli stessi, ma anche il giudice tributario è chiamato a valutare le motivazioni degli uffici e fornire, motivandola, la propria interpretazione, ossia esprimendo il proprio giudizio con la sentenza.

Ed allora ci si chiede, quale è stato il motivo dell’introduzione del nuovo comma 5 bis all’articolo 7 del Dl 546/92? Certo sarebbe strano pensare ad un riconoscimento legislativo degli errori fatti in passato dal fisco e dal giudice.

C’è da dire, comunque, che in materia tributaria – e, più specificamente, nella fase di formazione della pretesa tributaria – motivazione e prova spesso si “confondono”, talvolta intrecciandosi, visto che il contenuto dell’accertamento non solo mette il contribuente a conoscenza delle ragioni logico-giuridiche che hanno determinato il rilievo fiscale, ma, al tempo stesso, fornisce quella che rappresenta – o rappresenterà in giudizio – la prova della fondatezza della pretesa secondo quanto ritenuto dall’ufficio fiscale.

Secondo alcuni, peraltro, l’introduzione del principio contenuto nella legge di riforma non si pone in contrasto con la natura dell’accertamento, che contiene e giustifica la pretesa del fisco, posto che sarà poi la stessa pretesa e la sua giustificazione che contribuirà alla decisione del giudice tributario.

Sempre secondo gli stessi commentatori delle nuova norma, volendo quasi giustificare il legislatore, quest’ultimo ha ritenuto di inserire la disposizione all’interno del decreto sul processo (nell’articolo 7 dedicato ai poteri del giudice tributario), in tal modo fissando espressamente, anche all’interno del giudizio, il principio che vede l’Amministrazione finanziaria onerata dell’onere probatorio quale attore “in senso sostanziale” fin dalla fase di formazione della pretesa.

Ma nel suo massimario, la Corte di cassazione ha affermato che “la norma mira, con ogni evidenza, a cristallizzare e rendere indiscussa una regola che poteva ritenersi già assodata nella materia, posto che attore di fatto è sempre l’ente impositore”.

Un’affermazione che per la verità non toglie, anzi le conferma, le perplessità prima formulate, ma che fa restare a carico del contribuente, per il tramite del suo difensore, l’onere di formulare uno specifico motivo di impugnazione della violazione contestata dall’ufficio, restando a carico di quest’ultimo l’onere della prova comunque a suo carico.

Un’ultima notazione riguarda l’entrata in vigore del nuovo comma 5 bis. Si è già pronunciata al riguardo la Corte di Cassazione la quale, con ordinanza n. 31878 del 25/10/2022, ha affermato che la novella legislativa ha natura “processuale” e, come tale, si applica a tutti i processi tributari in corso alla data di entrata in vigore della legge 130/22, ossia alla data del 16 settembre 2022. Comunque, trattandosi di una disposizione che rafforza la giustizia, è certamente bene accolta da tutti.

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