Il 20 dicembre udienza con eventuali repliche dell’accusa e poi ritiro in camera di consiglio. Per le motivazioni della sentenza che verrà pronunciata a Palermo si attenderà il prossimo anno.
Va in scena l’ultimo atto del processo Open Arms a carico di Matteo Salvini, ministro degli Interni e vicepremier all’epoca dei fatti contestati e attualmente ministro dei Trasporti e vicepremier. Atto conclusivo, con appunto le conclusioni della difesa sostenuta dall’avvocato Giulia Bongiorno.
Una lunga arringa difensiva, sia enunciata in aula che depositata con un documento che conta poco meno di trecento pagine.
La storia del processo Open Arms a carico di Salvini
Prossimo all’epilogo, il processo iniziato tre anni addietro risulta un precedente sotto molti punti di vista. Sotto il profilo politico, giudiziario e in termini di giurisprudenza pura, considerando che, come la difesa ha sostenuto in chiusura di arringa, non esisterebbe una giurisdizione dello Stato italiano in materia. Una affermazione, pronunciata dall’avvocato Francesco Colotti – cui Giulia Bongiorno ha lasciato la chiusura di arringa con la citazione dei riferimenti normativi – per rimarcare il principio di interpretazione di alcune norme che costituiscono la struttura portante dell’accusa.
Se non un precedente assoluto, è insolito anche il costante parallelismo tra accusa e difesa. Si assiste infatti in aula al principio delle due rette parallele. L’accusa, sostenuta dalla Procura di Palermo e dagli avvocati di parte civile, è impiantata sulla violazione delle norme contestata all’imputato Salvini, per il quale la richiesta di pena è stata di sei anni. La difesa pare invece puntare molto, anche nelle conclusioni, sulla linea ormai nota della politica condivisa dal Governo di cui al tempo l’imputato faceva parte, e sulla presunta malafede nella condotta della Ong Open Arms, parte civile nel processo, nel fatidico agosto del 2019.
L’ultima fase del processo
L’aula bunker del carcere palermitano Pagliarelli è piena, partecipata, e tra le fila di banchi le voci che si rincorrono e i commenti che si bisbigliano sono diversi anche sulle aspettative. Nessun pronostico sull’esito del processo, anche se l’accusa sostenuta pare solida nella definizione delle norme violate e quindi della sussistenza inconfutabile dei reati contestati: sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio. Il processo ha visto in esame un notevole numero di testimoni in questi tre anni, molti dei quali hanno inevitabilmente confermato una serie di interventi e decreti basati sul dubbio e non sulla motivata ipotesi di condotte illecite da parte della Ong spagnola.
Nel corso del dibattimento, tra il 2021 e oggi, una dopo l’altra sono cadute tutte le accuse in capo a componenti della Open Arms, come il capitano Marc Reig Creus, ma anche Carola Rackete al comando della Sea Watch e perfino della Ong tedesca Iugend Rettet prosciolta a Trapani dopo sette anni dal sequestro. La parola più usata nel corso delle conclusioni della difesa è quasi sicuramente “bighellonare”, riferita alle manovre della Open Arms in esame e presa in prestito da una comunicazione che Malta fece alla Open Arms.
Open Arms, la difesa di Salvini nell’ultima udienza
Nel frattempo, Matteo Salvini – rimasto sempre seduto anche nel corso delle pause concesse dal presidente Murgia – appare sereno, mentre a piazza Politeama un piccolo manipolo di compagni di partito del vicepremier sostiene moralmente il proprio segretario assieme ad esponenti siciliani della Lega.
Fuori Roberto Calderoli e Giuseppe Valditara, in piazza, dentro Matteo Salvini che assiste silenzioso all’arringa della collega parlamentare e avvocato Giulia Bongiorno che, a tratti anche teatrale, ha sostenuto – in risultanza della documentazione e delle testimonianze in esame – che l’azione del governo era volta a non incorrere nel Regolamento di Dublino, che quella della Ong era una attività preordinata al sistematico trasferimento di migranti in Italia, che non si può definire sequestro di persona quello contestato se bastava dichiarare di non adattarsi alla vita a bordo per ottenere uno sbarco in evacuazione medica dalla Capitaneria di Porto, che non tentavano il suicidio se si tuffavano da due metri di altezza con il salvagente, che “non esiste il diritto di bighellonare con migranti a bordo” né il diritto di rifiutare le proposte di aiuto.
In conclusione, “va riconosciuta l’assoluta correttezza della condotta dell’imputato”, come affermato dall’avvocato Colotti. L’avvocato Giulia Bongiorno ha così chiuso la propria arringa dopo tre ore e mezza chiedendo l’assoluzione perché il fatto non sussiste. Poco preoccupati dalla difesa sono apparsi gli avvocati di parte civile, che le affermazioni contenute nelle quasi trecento pagine di memoria difensiva le avevano affrontate e smontate nel corso dei tre anni di processo.
I prossimi step
Con questo ultimo atto, il processo a carico di Matteo Salvini giunge all’udienza del 20 dicembre per eventuali repliche dell’accusa e il ritiro in camera di consiglio della Corte. Il Tribunale si pronuncerà quindi entro fine anno sulla pena da comminare al ministro Salvini o sull’assoluzione per insussistenza.
“La rivendicazione da parte dello stesso imputato, nelle fasi del processo immediatamente dopo il sequestro, era la volontà di non far sbarcare i naufraghi che erano stati soccorsi”, afferma l’avvocato Arturo Salerni, legale della Ong Open Arms, al termine dell’udienza in merito alla facoltà di sbarcare proposta in aula dalla difesa. “La scelta di non concedere lo sbarco è stata rivendicata e assunta dall’allora ministro dell’Interno”, rimarca caustico l’avvocato di parte civile Salerni.
Circa la reiterata condotta della Ong, secondo la difesa volta a far sbarcare a ogni costo i naufraghi in Italia, e alla correlazione tra questa ipotesi e le ipotesi di reato contestate all’imputato, l’avvocato Salerni ha risposto alla nostra domanda affermando che “non si può considerare una condotta in malafede il voler aspettare il verdetto di un giudice, nel caso il giudice amministrativo; avevano ragione e il giudice gli ha dato ragione, questo mi sembra il fatto importante. Dovevano entrare nelle acque territoriali e quel divieto emesso il primo agosto del 2019 andava sospeso e quindi valutandone incidentalmente l’illegittimità”.
Superato il divieto, per il quale il testimone Matteo Piantedosi, oggi ministro dell’Interno e all’epoca capo ufficio di gabinetto del ministro Salvini, ha confermato che non c’erano informazioni o prove che potevano definire “non inoffensivo” l’ingresso in acque territoriali della Open Arms come da decreto interministeriale, è andato in scena l’ipotizzato sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio contestati a Salvini.
“L’intervento di oggi è stato a mio avviso documentato, che è la cosa più importante”, ha dichiarato in un punto stampa dopo udienza l’avvocato Giulia Bongiorno. “Noi abbiamo documentato – prosegue il legale di Matteo Salvini – che sebbene si contesta il reato di sequestro di persona, in realtà a bordo della Open Arms i migranti sono stati per quattordici giorni in mezzo al mare mentre potevano tranquillamente sbarcare in due giorni in Spagna”.
Giulia Bongiorno ha quindi sostenuto, anche a favore di microfoni, che “c’erano innumerevoli possibilità di andare via”, che “non c’è stato nessun sequestro di persona, Open Arms ha in realtà rifiutato una serie di opzioni, una serie di soluzioni”. Al di là delle dichiarazioni rese alla stampa, tre anni di udienze, documenti acquisiti agli atti, testimonianze e riferimenti giuridici proposti, nazionali e sovranazionali, determineranno la sentenza che il Tribunale di Palermo è chiamato a pronunciare. Sentenza che sarà, in ogni caso, favorevole o avversa all’imputato, uno spartiacque determinante o devastante per le prassi ormai assunte nel Mediterraneo centrale in fatto di soccorso ai migranti. Una sentenza che farà precedente, giuridico o politico, e che dovrebbe arrivare prima di fine anno. Poi, nel caso di inattese decisioni della Corte, bisognerà attendere il nuovo anno per poter leggere le motivazioni della sentenza che probabilmente farà storia.
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