Il rischio di una guerra di mafia ad Agrigento, dietro il blitz

VIDEO | Il rischio di una “guerra di mafia” e il regno del terrore ad Agrigento, dietro il maxi blitz

VIDEO | Il rischio di una “guerra di mafia” e il regno del terrore ad Agrigento, dietro il maxi blitz

Redazione  |
martedì 14 Gennaio 2025

Un giro di estorsioni, intimidazioni e traffico di droga aveva consegnato la provincia di Agrigento in mano ai clan locali.

Il rischio di una vera e propria “guerra di mafia” era sempre più concreto in provincia di Agrigento. Questa la scottante verità portata alla luce dall’ultimo blitz antimafia operato dai carabinieri del comando provinciale di Agrigento e di Caltanissetta, che ha visto la cifra record di 51 indagati, 15 agli arresti domiciliari e 36 (24 dei quali già oggetto di un’altra operazione) in carcere.

Nello specifico, nelle indagini condotte dai carabinieri di Agrigento, coordinati dalla Dda di Palermo, su Cosa nostra agrigentina, è emersa una “improvvisa e allarmante recrudescenza di atti intimidatori” in ambito mafioso. Una serie di atti messi nero su bianco nella relazione sull’odierna operazione antimafia, proseguimento di quella dello scorso dicembre che ha interessato le articolazioni di Cosa nostra nei territori di Agrigento, Favara, Canicattì, Porto Empedocle, Santa Margherita Belice, Mazara del Vallo, Partanna, Campobello di Mazara, Castelvetrano e Gela.

Il rischio di una guerra di mafia ad Agrigento

L’operazione contro la mafia della provincia di Agrigento ha permesso di individuare e arrestare presunti affiliati ai clan di Villaseta e Porto Empedocle, ma anche di far emergere interessanti dettagli sulle lotte tra clan e la lotta per l’egemonia sul territorio. Soprattutto per le questioni di droga.

L’aumento dei gravi atti intimidatori, realizzati anche mediante l’utilizzo di armi, sarebbe infatti dovuto sia all’imposizione del rispetto della “competenza” territoriale sia ai tentativi di osteggiare l’egemonia del gruppo mafioso allo stato al vertice della famiglia di Agrigento-Villaseta. Di qui il rischio, secondo gli inquirenti, che la situazione potesse degenerare in una “guerra” di mafia. Nel corso delle perquisizioni, a conferma di quanto fondato sia il timore, gli inquirenti hanno sequestrato un vero e proprio arsenale arsenale composto da numerose armi e munizioni anche da guerra, tra cui una bomba a mano e una pistola mitragliatrice calibro 9, oltre a elevate somme di denaro e alla droga smerciata dai clan.

Gli atti intimidatori e il traffico di droga

Le indagini che hanno portato all’odierno maxi blitz hanno permesso la ricostruzione dell’organigramma e delle attività criminali delle famiglie mafiose di Porto Empedocle e di Agrigento/Villaseta, con probabilmente a capo rispettivamente Fabrizio Messina, 49 anni, e Pietro Capraro, 39 anni. Gli ordini e le direttive dei presunti capimafia arrivavano perfino dal carcere, dove gli esponenti dei clan riuscivano a dare direttive e ordine anche dalle proprie celle grazie a cellulari introdotti abusivamente in carcere.

Gli atti di intimidazione, principalmente attraverso incendi ed estorsioni, erano lo strumento favorito dalla mafia agrigentina per contrastare gli avversari e dare avvertimenti. Ecco alcuni episodi emersi nel corso delle indagini:

  • I sodali avrebbero costretto l’amministratore di una società aggiudicataria dei lavori di raccolta e di trasporto di rifiuti nel Comune di Agrigento ad assumere almeno 5 persone “raccomandate” per vincoli familiari o di fiducia;
  • Avrebbero costretto il legale rappresentante di una società di carburanti a interrompere il rapporto lavorativo con un dipendente, da sostituire con una persona più gradita ai clan;
  • Avrebbero dato fuoco a due autocarri appartenenti a una ditta di costruzione;
  • Avrebbero costretto l’amministratore della società aggiudicataria dei lavori di riqualificazione della Piazza della Concordia del quartiere di Villaseta ad assumere un operaio vicino, o comunque gradito, alla mafia locale. In più, avrebbero costretto anche la ditta aggiudicataria in subappalto degli stessi lavori ad assumere operai a loro graditi;
  • Alcuni degli indagati sono ritenuti responsabili di una rapina ai danni del distributore DB di Villaseta;
  • Il titolare di un bar di Agrigento e i suoi dipendenti sarebbero stati costretti a fornire cibi e bevande ai membri del clan senza ricevere il dovuto pagamento;
  • Il titolare di un esercizio commerciale di Agrigento era costretto a pagare un “pizzo” di ben 1.000 euro al mese alla mafia locale;
  • I sodali avrebbero dato fuoco a un furgone intestato a una rivendita di bevande di Porto Empedocle;
  • A scopo intimidatorio, degli indagati avrebbero esploso diversi colpi di arma da fuoco contro l’abitazione di un agrigentino, forse per una lite tra il malcapitato e il figlio di uno dei sodali.

La mafia di Agrigento-Villaseta e di Porto Empedocle – oggetto dell’odierna operazione antimafia – era anche dietro a due gruppi distinti dediti al traffico di droga. I sodalizi avevano una “non comune capacità di approvvigionamento” e avevano instaurato contatti e rapporti commerciali non solo con gruppi criminali simili in Sicilia ma anche con trafficanti sia nazionali che all’estero (in particolare, con sede in Belgio, Germania e Stati Uniti).

Gli indagati dell’operazione

Sono ben 51 gli indagati del maxi blitz sul rischio di una “guerra di mafia” ad Agrigento e sulle attività criminali di Cosa nostra in provincia. Tra loro i già citati Fabrizio Messina e Pietro Capraro. Nel primo articolo sul blitz, riportato in basso, è possibile avere tutti i nomi dei coinvolti nell’operazione.

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