Cronaca

Operazione Metus, i segreti e le intercettazioni dei membri della mafia di San Lorenzo

L’operazione Metus e le indagini che hanno portato all’arresto di 11 persone a Palermo è partita dalle indagini scaturite dopo la cattura di Giulio Caporrimo e hanno permesso di individuare Michele Micalizzi, Gianluca Spanu, Domenica Caviglia, Romeo Amedeo e Rosario Gennaro quali membri della mafia di San Lorenzo-Tommaso Natale.

Nel mandamento sono ricomprese le famiglie mafiose di San Lorenzo, Tommaso Natale, Partanna Mondello, Zen Pallavicino, Capaci, Carini, Cinisi e Terrasini, consentendo di raccogliere gravi elementi sui loro rispettivi ruoli e contributi associativi. Il risultato delle indagini dell’operazione Metus fornisce un importante tassello di valutazione degli equilibri e attività criminali della mafia di San Lorenzo-Tommaso Natale.

Operazione Metus, i vertici della mafia di San Lorenzo

Si individuano alcuni temi di carattere generale quali la ridefinizione dei rapporti di vertice con la scarcerazione di Micalizzi e la preposizione di Gennaro nel settore delle estorsioni; la ridefinizione delle relazioni diplomatiche con i territori limitrofi, in particolare con il mandamento mafioso di Resuttana retta da Salvatore Genova, parimenti scarcerato per espiazione pena con lo scambio di reciproche accuse circa straripamenti territoriali da parte dell’uno e dell’altro capomafia e l’intento di Cosa nostra di mantenere il pieno controllo del territorio e di confermarsi come unico soggetto in grado di garantire protezione ai commercianti in cambio del pagamento del pizzo.

“Si perpetua – scrive il gip Pilato – cioè il vecchio e spregevole sistema secondo cui l’imposizione estorsiva costituisca l’unica alternativa perché gli esercenti possano svolgere le proprie attività, con un paradossale affidamento sulle capacità della famiglia mafiosa di fornire sicurezza e protezione. Al riguardo risulta emblematica la frase usata da Gennaro nella conversazione n. 4151 dell’8.3.2023, in cui confida al suo interlocutore “Io ci faccio la sicurezza nei chioschetti… in estate passo pure a Barcarello”. Altrettanto significativa la lapidaria affermazione “vedi che qui comandiamo noi”.

Il ruolo di Micalizzi e il suo legame con Rosario Riccobono

Dalle indagini è emerso in maniera chiara il ruolo che il pregiudicato mafioso Michele Micalizzi, storico uomo d’onore della famiglia mafiosa di Partanna Mondello, dopo la sua scarcerazione avvenuta il 12 agosto 2015, ha riacquisito una posizione di rilievo all’interno del sodalizio criminoso, posizione che, nel tempo, gli ha permesso di collocarsi al vertice della famiglia mafiosa. Michele Micalizzi è il genero di Rosario Riccobono, indicato da numerosi collaboratori di giustizia – tra i quali De Caro, Mutolo, Ganci, Mannoia e Marchese – come “uomo d’onore” della famiglia mafiosa di Partanna Mondello e uno dei maggiori attori dei commerci di droga della cosca mafiosa. Negli anni ’80 sarebbe stato protagonista di una rilevantissima attività di importazione di eroina thailandese proveniente dal fornitore asiatico Koh Bak Kin.

Rosario Riccobono fu ucciso dai corleonesi di Totò Riina nell’ambito di quella che è definita la “seconda guerra di mafia”, il sanguinoso regolamento di conti mafioso che inondò di morti e sangue la città di Palermo. Sparito assieme a due sodali il 30 novembre 1982, Rosario Riccobono fu condannato all’ergastolo in contumacia al maxiprocesso di Palermo, anche perché la conferma della sua morte arriverà solo alla fine degli anni ’80 a seguito di quanto dichiarato dal collaboratore di giustizia Francesco Marino Mannoia.

Michele Micalizzi è stato condannato, tra l’altro, anche per l’omicidio dell’agente di polizia Gaetano Cappiello, avvenuto nel luglio del 1975, tentato omicidio e traffico di stupefacenti. L’affermazione di Micalizzi all’interno della gerarchia mafiosa ha favorito il consolidamento del ruolo di affidabile associato mafioso di Gianluca Spanu e di Francesco Adelfio, già riconosciuto componente della famiglia mafiosa di Partanna Mondello. Entrambi agivano – secondo quanto emerso nell’operazione Metus – alle dipendenze di Micalizzi, “assistendolo con particolare devozione ed eseguendone puntualmente gli ordini”.

Le indagini hanno anche consentito di raccogliere gravi elementi indiziari in ordine all’attuale partecipazione al sodalizio criminoso dei pregiudicati mafiosi Domenico Caviglia e Amedeo Romeo, rientrati, e a pieno titolo, dopo lunghi periodi di detenzione, rispettivamente, nelle fila della famiglia mafiosa di Zen-Pallavicino e in quella di Tommaso Natale, nonché dell’affiliato Gennaro Rosario, quest’ultimo con compiti di soldato alle dipendenze di Amedeo Romeo.

Ulteriori elementi circa il ruolo di sicuro rilievo assunto da Micalizzi nel mandamento mafioso di San Lorenzo-Tommaso Natale sono stati acquisiti dagli investigatori il 15 maggio 2020, grazie a una conversazione, captata, tra il figlio del Giuseppe Micalizzi e Giuseppe Cusimano, coreggente, assieme a Francesco L’Abbate, della famiglia mafiosa di Zen-Pallavicino, ricompresa nella mafia di San Lorenzo-Tommaso Natale.

Controllo del territorio allo Zen: basso profilo senza colpi di testa

La conversazione, avvenuta anche con la partecipazione di Francesco Adelfio, componente della famiglia mafiosa di Partanna Mondello, aveva ad oggetto un precedente intervento di Cusimano, il quale, nella sua qualità di coreggente della famiglia mafiosa di Zen-Pallavicino, aveva requisito alcune armi e necessitava, pertanto, di un confronto con il Micalizzi, incontro che fu concordato al temine della conversazione. Nel corso della medesima conversazione appare evidente come il controllo del territorio da parte della consorteria mafiosa mirasse anche al controllo del possesso e uso di armi “dico è anche giusto fare così se no… (incomprensibile) chiunque ora prende pistola e spara!”.

Operazione Metus e mafia di San Lorenzo, il figlio di Micalizzi

In diverse occasioni Giuseppe il figlio del Micalizzi. agiva in nome e per conto del padre, occupandosi di mantenere le relazioni con i vertici della summenzionata famiglia mafiosa di Zen-Pallavicino. Nella conversazione indicata, Giuseppe Micalizzi affermava come alcuni facinorosi residenti del quartiere Zen avrebbero dovuto essere eliminati (ci mettiamo sopra i motori… e li buttiamo a terra) e che con una revolverata il messaggio sarebbe arrivato chiaro anche ad altri soggetti non direttamente coinvolti nella vicenda (appena butti una revolverata qua si spaventano… si infilano tutti dentro).

“Sapevano di essere intercettati”

Appare evidente dall’ascolto delle intercettazioni, autorizzate, che Micalizzi era consapevole di essere intercettato non tanto per una fuga di notizie avvenuta nei loro confronti ma perché, statisticamente, il Micalizzi riteneva che ciò fosse possibile, come dimostra il dialogo tra lui, il figlio Giuseppe e Tommaso Inzerillo, uomo al vertice del mandamento mafioso di Passo di Rigano-Uditore, conversazione in cui l’Inzerillo afferma di essere intercettato “al novantanove per cento e uno lo tolgo sempre” e avvenuta l’8 dicembre 2017.

Truffa all’Unione Europea con il supporto dei “colletti bianchi”

La conversazione è ritenuta particolarmente significativa in quanto, in quell’occasione, Micalizzi proponeva a Inzerillo di partecipare a una truffa milionaria ai danni dell’Unione Europea, affermando di poter contare su un professionista (non ancora identificato), e domandava all’Inzerillo di individuare alcune aziende agricole da utilizzare per i loro scopi. Risulta evidente che il professionista fosse ben inserito sia a livello nazionale sia a livello comunitario perché, dice Micalizzi “in particolar modo la Sicilia arriviamo all’ottanta, certe volte al novanta per cento, quindi se facciamo una pratica da dieci milioni, otto nove milioni sono a fondo perduto, dice: e poi te li rendiconto io, questo ha l’ufficio a Bruxelles, a Malta(…) comunque è una persona che è una miniera, sotto certi aspetti, ha grosse possibilità alla banca all’UniCredit”. Inoltre, Micalizzi rivela al suo interlocutore il possesso di “attrezzature”, cioè di armi pronte all’utilizzo per ogni evenienza, suscitando la reazione di Inzerillo il quale, ridendo, rispondeva che bisognava rimanere in pace per non riportare Cosa nostra ai tempi della cosiddetta seconda guerra di mafia, dove entrambe le loro famiglie erano uscite perdenti.

Nella medesima conversazione, Inzerillo faceva espliciti accenni alle vicende della “seconda guerra di mafia”, nella quale, sia lo stesso Inzerillo, sia Micalizzi, erano stati coinvolti quali componenti delle fazioni perdenti, e alle interlocuzioni da ultimo avviate con il pregiudicato mafioso Settimo Mineo per la definitiva risoluzione dei residui contrasti tra le due anime di Cosa nostra, a seguito della morte di Salvatore Riina avvenuta poco tempo prima, il 17 novembre 2017.