Una storia che va avanti da oltre vent’anni, una vera e propria Odissea senza lieto fine. Stiamo parlando di Palazzo Bernini, lo stabile catanese sito lungo l’omonima via, simbolo di abbandono, incuria e degrado. Un dato di fatto, questo, che suona come una beffa, viste le potenzialità dell’edificio.
Un fabbricato di 5.000 metri quadrati composto da piano interrato adibito ad autorimessa; piano terra con antistante porticato e cinque corpi di fabbrica di tre piani ciascuno che comprendono un totale di 24 appartamenti, situato a due passi da Piazza Michelangelo e Viale Vittorio Veneto.
Correva l’ormai lontano anno 1998 quando, l’allora sindaco di Catania Enzo Bianco, acquistava l’immobile spendendo otto miliardi del vecchio conio, con l’intenzione di stabilirvi alcuni uffici comunali.
L’obiettivo era quello di abbattere gli onerosi costi derivati dai canoni d’affitto, garantendo così un significativo risparmio per le casse comunali. Il progetto, tuttavia, non partì e si arenò definitivamente durante i mandati da primo cittadino di Umberto Scapagnini. Il suo successore, Raffele Stancanelli, insediatosi nel 2008, provò a venderlo per due volte ma, in entrambi i casi, non ebbe fortuna. Le difficoltà finanziarie di Palazzo degli Elefanti, successivamente, portarono all’inserimento di Palazzo Bernini tra i beni comunali da dismettere. Nello stesso periodo arriva una procedura esecutiva, alla quale si uniscono circa trenta creditori del Comune, che porta ad una serie di aste per la vendita dello stabile.
Tra il 2012 ed il 2013, ne vanno a vuoto tre. Poi, nel luglio del 2016, due società siciliane (Paradivi Servizi – A&D Costruzioni Generali) se lo aggiudicano sborsando 2.298.112 euro. Da quel momento, però, nulla è cambiato: i lavori non sono mai partiti e Palazzo Bernini è rimasto nel degrado più totale.
Un nuovo stallo, determinato soprattutto dalle conseguenze della cosiddetta “Operazione Piramidi”, un’inchiesta condotta dai carabinieri del comando provinciale di Catania e del nucleo operativo ecologico nel marzo del 2017, che coinvolse la Paradivi Servizi. La società, titolare dell’80% delle quote dell’edificio, passò conseguentemente sotto il controllo dello stato, che ne affidò la gestione ad un amministratore giudiziario, individuato nell’avvocato Francesco Carpinato.
Lo stato di abbandono dell’edificio ha portato, nel corso degli anni, a diverse occupazioni abusive. La più clamorosa risale ad una decina di anni fa, quando 40 famiglie rom presero possesso dei locali, stabilendo un vero e proprio accampamento. Il Comune, a quel tempo ancora proprietario del palazzo, fece sgomberare l’area e murò porte e finestre del piano terra per impedire nuovi insediamenti.
Da oltre un anno, però, uno sparuto gruppo di nomadi si è stabilito con tenda, divano e masserizie varie nello spazio compreso sotto il porticato. A prescindere da questa nuova occupazione, come testimoniano le foto dell’area, le condizioni igienico sanitarie lasciano parecchio a desiderare.
Il Quotidiano di Sicilia ha raggiunto, per un commento sulla spinosa questione, l’avvocato Francesco Carpinato: “È una ferita per la città – esordisce il legale – il sequestro è intervenuto a pochi mesi dall’acquisto, che probabilmente era stato fatto con l’idea di eseguire un progetto di riqualificazione di tutto l’edificio. Era un investimento “speculativo”, visto che Paradivi non si occupa di edilizia, ma di trasporti, bonifiche e rifiuti. Purtroppo, si sa, le amministrazioni giudiziarie hanno dei compiti temporanei e spesso solo conservativi quando si tratta di imprese o aziende. Non abbiamo possibilità nemmeno dal punto di vista finanziario, viste anche le difficoltà di accesso al credito per un’attività che non è caratteristica. Sembra quasi che, al momento in cui arriva un’amministrazione giudiziaria, e con essa la garanzia dello stato, banche ed enti vari diventino estremamente precisi, a differenza di quanto avveniva prima con le stesse aziende.
Nel corso degli anni, in seguito a varie occupazioni dell’immobile, abbiamo fatto diversi sgomberi, spesso con tanta amarezza perché si tratta di gente che non ha dove vivere e che, da quanto risulta, non dà nemmeno fastidio. Però, chiaramente, capisco perfettamente la situazione di chi abita in zona”.
Nonostante le numerose difficoltà un esito positivo non è da escludere: “Però sono fiducioso – aggiunge Carpinato – che, in qualche modo, una soluzione si troverà. Perché è un posto troppo bello, legato a Villa Scammacca che si trova proprio alle sue spalle, di fronte c’è uno spazio comunale che andrebbe riqualificato e c’è anche la possibilità di costruire dei parcheggi nei sotterranei. Si tratta, inoltre, di una zona che si sta valorizzando, dove varrebbe la pena fare un investimento immobiliare.
Secondo me diventerà un fiore all’occhiello per quell’area, ma al momento resta purtroppo una ferita per tutta la città”.
All’orizzonte, infatti, sembrano delinearsi alcuni spiragli: “In tribunale si è parlato diverse volte di questa situazione, di come poter dare una svolta. Si è parlato anche di una possibile vendita che, al di là del parere contrario dei soci, non rientra nei poteri di un’amministrazione giudiziaria. Bisognerà attendere la fine del procedimento giudiziario che riguarda Paradivi? Sì, oppure provvedimenti intermedi che riguardino proprio questo tipo di beni. Ci sono varie relazioni nelle quali anche io faccio presente che questa è una questione da affrontare separatamente, senza attendere l’esito del processo. Quindi è un tema di cui il tribunale è al corrente, e si stanno cercando delle soluzioni giuridiche, ma ovviamente bisognerà trovare anche delle soluzioni economiche in accordo con l’altra azienda proprietaria del palazzo”.
Una vicenda annosa, quella che riguarda Palazzo Bernini, la cui soluzione, a dispetto dell’impegno e delle buone intenzioni di quanti hanno cercato di imprimere una svolta, sembra ancora lontana. L’ennesimo caso in cui burocrazia, errori politici, cattiva amministrazione, zone d’ombra e presunte connivenze con la criminalità organizzata, bloccano lo sviluppo e la crescita, determinando situazioni paradossali.
Vittorio Sangiorgi

