L'inchiesta ha permesso di fare luce sull'organigramma delle famiglie mafiose dei mandamenti di Ciaculli e Brancaccio, che comprende clan come Corso dei Mille e Roccella
La polizia di Stato e i carabinieri di Palermo hanno eseguito una misura cautelare nei confronti di 31 indagati accusati a vario titolo di associazione di tipo mafioso, detenzione e produzione di stupefacenti, detenzione di armi, favoreggiamento personale e estorsione con l’aggravante del metodo mafioso.
Per 29 è scattato il carcere e 2 sono finiti agli arresti domiciliari.
Le indagini sono state coordinate dalla Dda.
L’inchiesta ha permesso di fare luce sull’organigramma delle famiglie mafiose dei mandamenti di Ciaculli e Brancaccio, che comprende clan come Corso dei Mille e Roccella.
Arresti in tutta Italia
Le misure cautelari sono state eseguite a Palermo, Reggio Calabria, Alessandria e Genova. In particolare le indagini che hanno fatto luce sui nuovi vertici del clan di Brancaccio hanno accertato che, dopo un blitz condotto nel 2019, le famiglie mafiose hanno cercato di riorganizzarsi.
Le indagini della Polizia di Stato
Il provvedimento restrittivo scaturisce da una complessa attività di indagine avviata dalla Squadra Mobile di Palermo e dal Servizio Centrale Operativo nel 2019.
Le indagini attuali, avviate dopo gli ultimi arresti operati nel mese di novembre 2019 e mirate ad individuare i protagonisti della riorganizzazione delle famiglie mafiose duramente colpite dai provvedimenti cautelari, hanno consentito di ricostruire gli assetti delle famiglie mafiose di Brancaccio, identificando i probabili vertici, gregari e soldati, che dalle acquisizioni info-investigative il giudice ha ritenuto gravemente indiziati di numerosi reati–fine dell’associazione mafiosa, dalle estorsioni, commesse ai danni di numerosissimi commercianti e imprenditori, il pizzo, alla gestione delle numerose piazze di spaccio sparse sul territorio di Brancaccio, tutti reati che hanno consentito di accumulare quei proventi necessari al mantenimento in vita dell’associazione ed alla remunerazione dei sodali liberi e delle famiglie di quelli detenuti.
Documentate oltre 50 estorsioni, anche allo “sfincionaro”
Le pretese estorsive non hanno risparmiato nemmeno uno sfincionaro il quale, dopo aver subito il danneggiamento della saracinesca del laboratorio mediante apposizione di attack si era rivolto ad uno degli odierni indagati per mettersi a posto.
Ne è scaturito un solido quadro probatorio a carico degli odierni indagati circa la loro intraneità alle citate consorterie criminali che, sotto la direzione di personaggi del calibro di DI LISCIANDRO Giovanni, vertice della compagine, coadiuvato da NOLANO Stefano, VITRANO Angelo e DI FEDE Maurizio, quest’ultimo responsabile operativo per il settore delle estorsioni e del traffico di droga, hanno riorganizzato i sodalizi mafiosi permettendone non solo la sopravvivenza ma consentendo una maggiore espansione sul territorio di Brancaccio. Ne è la dimostrazione l’aver documentato 50 episodi estorsivi ai danni di titolari di esercizi commerciali, dimostrativi che le attività produttive della zona sono sempre oggetto di attenzione dell’articolazione mafiosa e molti esercenti, dal piccolo ambulante abusivo fino all’operatore della grande distribuzione, sono soggetti alla pretesa del pizzo quando non addirittura costretti, ab origine, a chiedere l’autorizzazione prima di avviare i lavori o ad assumere dipendenti dettati dal gruppo criminale.
Pizzo a tappeto a Palermo, dall’imprenditore edile all’ambulante tutti in fila dal boss
Al riguardo emblematica è la conversazione avvenuta tra il responsabile delle estorsioni della cosca mafiosa ed un suo sodale, avvicinato da un imprenditore edile il quale, avendo in progetto di acquistare un terreno nella zona di competenza della famiglia mafiosa per costruirvi appartamenti e consapevole di doversi assoggettare alle pretese mafiose per poter realizzare le costruzioni senza incorrere in furti, rapine o danneggiamenti – per ottenere quindi la protezione della mafia – , si rivolge al referente mafioso della zona, per mettersi a posto.
Ancora da segnalare la pervicacia dimostrata dagli estortori di Brancaccio che non avrebbero esitato ad effettuare il sopralluogo presso un cantiere edile sorto nelle immediate vicinanze del Commissariato di P.S., finalizzato alla successiva eventuale richiesta estorsiva.
Le armi
Per quanto riguarda le armi, “è di tutta evidenza, dunque, come tutti gli associati abbiano piena consapevolezza di siffatta disponibilità e siano ben consci anche della loro possibilità di ottenere il concreto possesso di armi di cui siano in un dato momento sprovvisti rivolgendosi ad altri sodali, financo a quelli eventualmente inseriti in altre articolazioni territoriali dell’organizzazione criminale”.
Traffico di stupefacenti
Anche il traffico di stupefacenti rappresenta una importante voce di arricchimento illecito; dal complesso delle attività, infatti, è stato possibile quantificare gli introiti derivanti dalle “sei piazze di spaccio dello Sperone”, tutte direttamente gestite o comunque controllate dai sodali, con un ricavo presunto di circa 80.000 euro settimanali, nonché accertare la provenienza di parte dello stupefacente ad opera di due Calabresi, destinatari dell’odierna ordinanza.
In tale ambito sono stati eseguiti, in più occasioni ed a titolo di riscontro, 16 arresti in flagranza per detenzione di sostanza stupefacente e sequestrati circa 80 Kg di droga tra cocaina, purissima ancora da tagliare, hashish e marijuana per un valore sul mercato di oltre 8.000.000 di euro.
Afferma il Giudice, “non ci si può infine esimere dal rimarcare che costituisce plastica dimostrazione di come la scelta di vita degli indagati sia fondata, già in termini culturali e “ideali”, proprio su un principio di contrapposizione ai fondamenti della libertà democratica e al rispetto delle regole, il reiterato utilizzo delle parole “sbirro” o carabiniere” quali vere e proprie offese che si ritrova in più conversazioni intercettate”.
Odio e offese per Falcone e Borsellino
In tale contesto si richiama il servizio di captazione a carico degli indagati che nel maggio del 2019, durante i preparativi per il ricordo della strage di Capaci e via D’Amelio, veniva prospettata l’intenzione di un parente di un coindagato di far partecipare la figlia alle relative iniziative scolastiche.
In proposito il presunto uomo d’onore, dopo aver apostrofato la parente del coindagato come sbirra, ha sottolineato come lui non avesse mai prestato il consenso alla partecipazione definita “vergogne” a queste iniziative, ribadendo che non potevano “immischiare le carte con Falcone e Borsellino”.
Continua il Giudice che “si colloca nel medesimo solco, ed è per la verità ancora più sconcertante, il fatto che la “formazione” mafiosa non abbia risparmiato nemmeno una bambina in tenera età che, dopo lunga preparazione, si accingeva a partecipare a una iniziativa scolastica in memoria dei rimpianti Giudici Borsellino e Falcone”.
Cosa nostra dietro furto 16mila mascherine
Anche in piena emergenza epidemiologica sono stati acquisiti gravi indizi in merito al rastrellamento di denaro dalle pochissime attività rimaste aperte e con volumi di affari certamente ridotti ma in un caso un indagato si è impossessato di venti cartoni di mascherine FP3 contenenti 16.000 mascherine, sottraendole ad un Ospedale cittadino dove svolgeva attività lavorativa perché appartenente all’area “Emergenza Palermo”, per rivenderle a scopo di lucro.
Le indagini dei Carabinieri
L’odierno provvedimento cautelare, nella parte sviluppata dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Palermo, colpisce un gruppo di soggetti gravemente indiziati di essere direttamente legati a GRECO Giuseppe e INGRASSIA Ignazio che, forti dei loro storici legami con “Cosa Nostra”, sarebbero stati in grado di coadiuvare i due vertici nella gestione del mandamento mafioso e nella conduzione delle attività illecite che alimentavano le casse della famiglia mafiosa di Ciaculli.
Fra i 5 soggetti destinatari di misura cautelare oggetto delle investigazioni dei Carabinieri di Palermo figurano infatti Francesco GRECO, direttamente legato per connessioni parentali ai vertici del mandamento, e Emanuele PRESTIFILIPPO.
La mediazione della mafia anche sull’acquisto di immobili
L’agguerrita compagine criminale, per il tramite dei suoi collaboratori, si sarebbe dunque occupata dell’imposizione delle cosiddette sensalerie sulle compravendite di immobili ricadenti sotto l’area di influenza, commettendo vere e proprie condotte estorsive in danno di quei cittadini che, per concludere affari immobiliari, si sono visti costretti ad accettate l’opera di mediazione degli indagati.
Altro settore illecito è quello della coltivazione di piantagioni di cannabis-sativa, da cui veniva ricavato lo stupefacente destinato alle piazze di spaccio del capoluogo.
Le mani della mafia sull’acqua
Le acquisizioni dei militari del Nucleo Investigativo hanno, altresì, evidenziato che la compagine criminale avrebbe tratto parte del suo sostentamento anche dalla gestione delle acque irrigue, impropriamente sottratte direttamente alla conduttura “San Leonardo”, di proprietà del “Consorzio di Bonifica Palermo 2”. Gli affiliati alla famiglia mafiosa di Ciaculli sarebbero, infatti, intervenuti direttamente sulle condotte del consorzio, forzandole e incanalando l’acqua in vasche di loro proprietà, per poi ridistribuirla ai contadini operanti nell’agro Ciaculli-Croceverde Giardini e Villabate.
Tale circostanza, oltre a costituire un guadagno illecito per l’organizzazione mafiosa, avrebbe permesso alla famiglia mafiosa di Ciaculli di accreditarsi verso numerosi produttori agricoli, ergendosi a punto di riferimento per la gestione di uno dei beni essenziali per eccellenza: l’acqua.
Le scommesse on-line
Un ulteriore “affare” sul quale gli uomini di Ciaculli avrebbero imposto il controllo, è stato rintracciato nella gestione delle piattaforme di gioco per le scommesse on-line illegali. Questo delicato settore, che risulta una costante nella moderna economia che costituisce gli affari delle famiglie mafiose siciliane, avrebbe assicurato cospicui introiti nella cassa della consorteria di Ciaculli e di quel mandamento mafioso, che avrebbe imposto sul territorio l’utilizzo di piattaforme di gioco che non avrebbero rispettato la normativa sulla prevenzione patrimoniale imposta alle attività ludiche dalle leggi italiane. Il compenso, tuttavia, sarebbe stato versato dagli esercenti, in proporzione ai guadagni ricavati, nelle casse del mandamento mafioso. I proventi delle attività illecite sarebbero stati poi reinvestiti in alcune attività commerciali.
Dalle indagini è anche emerso che la compagine mafiosa avrebbe avuto anche a disposizione un vero e proprio arsenale di armi. L’intervento dei Carabinieri ha, infatti, consentito nell’ottobre 2020 di arrestare in flagranza di reato Emanuele PRESTIFILIPPO e di rinvenire nella sua disponibilità un fucile da caccia (doppietta) marca Beretta cal. 12 e otto munizioni celate all’interno di alcune balle di fieno accatastate nel maneggio di sua proprietà nella zona di Croceverde Giardini, fatti per i quali vi è procedimento penale in corso.
Le acquisizioni in possesso dei militari dell’Arma avrebbero tuttavia consentito di presupporre che la potenza di fuoco della famiglia mafiosa potesse contare anche su numerose armi semiautomatiche gestite dai sodali e nascoste nell’agro di Ciaculli, sinora non rinvenute.
Sequestrati beni per 350mila euro a prestanomi clan
Contestualmente la Polizia Giudiziaria operante ha dato esecuzione al sequestro preventivo del capitale sociale, dei beni aziendali e dei locali della impresa, per un presunto valore complessivo di circa 350.000 euro in quanto frutto di intestazione fittizia, nei confronti di imprese ed esercizi commerciali, tra i quali una rivendita di prodotti ittici, due rivendite di caffè e tre agenzie di scommesse.