Palermo, 21 gradi sotto un cielo terso di primavera. Questo dal punto di vista metereologico, dal punto di vista politico almeno uno dei due campi sta sotto una coltre di nubi.
Mentre il centrosinistra ha incredibilmente trovato il sereno, con Franco Miceli, ormai Archistar, quantomeno politica per aver realizzato una buona candidatura dalle macerie Orlandiane, ed organizza perimetri e liste, nel centrodestra c’è il buio pesto.
Un ognun per sé e sconfitta per tutti a tavolino. I candidati sono ben sei: Lagalla, Cascio, Scoma, Lentini, Varchi e pure la Donato, che nessuno calcola, ma considerando quanti negazionisti ci sono sul web potrebbe riservare sorprese.
Certo fare vincere il centrosinistra dopo il declino rutilante dell’era Orlando era veramente difficile, ma il centrodestra ci sta riuscendo con un impegno certosino.
Il problema a prima vista sembra derivare da narcisismi dei singoli e dalla crisi di leadership dei capi locali del centrodestra, ma le cause vengono da più lontano. La famosa e sbandierata unità del centrodestra non è un più un totem che incolli i partiti che lo compongono. All’inizio di questa legislatura c’è stato lo strappo della Lega, che mollò i compagni di viaggio per fondare il fronte del populismo con i 5stelle.
Abbandonata quella strategia da parte di Salvini, dopo un momentaneo riassorbimento della frattura con l’opposizione al Conte bis, ci ha pensato la Meloni a tirarsi fuori dal governo di unità nazionale, crescendo nei consensi e scavando un netto solco dai suoi vecchi alleati. Nonostante in tutte le salse sostenga la legge maggioritaria, la Georgia Nazionale sta costruendo un partito identitario perfetto per il proporzionale.
E la crescita di consenso la premia se va da sola, e non se si confonde con gli altri, che hanno crisi di leadership e strategie. Questo cambio di prospettiva politica si evidenzia in Sicilia che è chiamata a due turni elettorali a ripetizione. Pertanto molto difficilmente FdI contribuirà a ritirare i suoi candidati, per mantenere il simulacro di un’unità coalizionale che non c’è più già da tempo.
Più sta da sola più i suoi ex ormai alleati si indeboliscono, non avendo ancora un progetto alternativo, se non fantasticando di federazioni senza basi politiche e territoriali. E in questo quadro FdI recupera spazi elettorali quasi abnormi rispetto alla sua classe dirigente. Per questo oggi la Meloni non è interessata a vincere, perché poi dovrebbe faticare a governare e ad interrompere la facile ascesa isolazionista.
Pertanto Palermo è solo la cartina di tornasole di un nuovo scenario, che si rifletterà sulle elezioni politiche del prossimo anno. Palermo ritorna ad essere laboratorio. Di confusione.
Così è se vi pare.