Parole nel rumore - QdS

Parole nel rumore

Parole nel rumore

Giovanni Pizzo  |
sabato 20 Maggio 2023

Presso la bella aula magna del Rettorato dell’Università di Catania si è tenuta una lectio magistralis di Mons. Dario Viganò.

Presso la bella aula magna del Rettorato dell’Università di Catania si è tenuta, a conclusione del Festival della Comunicazione, una lectio magistralis di Mons. Dario Viganò. C’era molto vento, vento di scirocco, e mentre andavo all’incontro pensavo ad una particolarità di Catania. Il Rettorato, la Cattedrale e il Municipio sono a tiro di cento metri l’uno dall’altro, come le acropoli greche, dando un senso di equilibrio e vicinanza di poteri e saperi. In quello spazio raccolto, ci possiamo aggiungere un’altra caratteristica dell’anima catanese, il mercato della Pescheria, c’è tutta Catania e il suo essere Comunità. ‘Incidere ferite di parole nella consuetudine’ è il titolo di questa lectio ispirata a Nelly Sachs, poetessa ebrea, testimone della grande tragedia del Novecento, Nobel per la letteratura nel 1966.

Monsignor Viganò inizia e si capisce subito perché il Santo Padre ha scelto quest’uomo di Dio per il compito di gestire la comunicazione. La sala mentre parla è immersa in un’atmosfera rarefatta, in un silenzio denso di ascolto. La prima cosa che ci dice è che oggi c’è troppo rumore. La galleria del vento delle parole vuote, del tunnel della comunicazione di media, social e anche del nostro chiacchiericcio quotidiano, atrofizza l’ascolto. Italo Calvino parlava, nelle Lezioni americane, della peste del linguaggio. Un morbo che intorpidisce le coscienze. Poi, dopo un aneddoto personale, ci ricorda Ada Merini la sua bellissima poesia, ho bisogno di silenzio, una urgente necessità di spegnere il rumore, anche di se stessi. Perché le parole, a volte sovrabbondanti e vuote, si sgretolano e diventano necrologi del pensiero.

Bovati, noto biblista, ci ricorda la necessità delle parole dense. Parole vere incardinate nel cuore. Non ideologie o narcisismi intellettuali. L’uomo ha bisogno di parole che lo sveglino dal torpore. Abbiamo bisogno di parole che ci parlino di verità. È qui si manifesta il ruolo della profezia. Le parole dei Profeti, tramite loro Dio ci parla.

L’ultimo passo della ragione è riconoscere che ci sono un’infinità di cose che la sorpassano diceva Pascal. E dal grande umanista, con un balzo temporale si evoca Dante, la figura di Ulisse, il desiderio di spingersi oltre il conosciuto, istinto primordiale dell’uomo. l’uomo è quel vivente che non è semplicemente di fronte a qualcosa, ma quel qualcosa è sempre agitato da qualcos’altro. E può rimanere attonito. A meno che, l’eccezione, l’ignoto si faccia conoscere. E come lo fa?Tramite i profeti. Il profeta proclama, non predice, presta la parola. Così dice il Signore. La parola come trasmissione del senso dell’umanità. Recalcati ci ricorda l’esperimento brutale di Federico Secondo. L’Imperatore, e tale brutalità dello ‘Stupor Mundi’ ci fa capire cos’è l’imperio, stabilisce che alcuni neonati crescano con balie silenziose, per capire la lingua fondamentale che parleranno senza condizionamenti. Ma i bambini muoiono tutti. L’assenza di parola, di comunicazione dal cuore, il cardine della verità, è sottrazione di vita. E questo è profondamente drammatico se pensiamo alla dispersione scolastica, in Sicilia è al 20%, bambini e ragazzi che perdono parole, parole di vita, la loro. Tornando ai profeti capiamo il nesso tra umano e divino. La parola, quella che i profeti prestano è offerta di alleanza relazionale. È bello pensare che un uomo possa prestare qualcosa a Dio. Offerta di se stesso omaggio gratuito di un vincolo un legame comunitario. Cosa fa Dio, al principio, parlando? Crea una relazione. Gli dei orientali non parlavano, erano testimoni muti della Storia. Ma quali parole servono all’umanità?

Non possiamo o dobbiamo essere ripetitori, dobbiamo esprimere parole proprie, personali, frutto del nostro cuore cosciente, riapprendere la dimensione simbolica della parola profetica. La parola autentica, immersa nel mondo dei simboli, diviene evocativa, in grado di toccare l’universo esperienziale dell’ascoltatore. Ovviamente le parole profetiche cambiano nel tempo e nello spazio, perché mutano le circostanze.

La parola profetica non è esaustiva, quella è l’ideologia, la parola vera rilancia, e apre il gioco del confronto con l’altro. Sulla tragedia di Cutro, per esempio, si sono spese tante parole, molte ideologiche, altre a vanvera. È la simbologia della galleria del vento, del rumore di fondo che atrofizza il pensiero. Proprio a Cutro Pasolini girò alcune scene del film il Vangelo secondo Matteo. C’è una scena in cui Gesù cammina nella stessa spiaggia della tragedia, e si vedono le orme del suo passaggio sulla sabbia. Le parole vuote non lasciano segno, le parole vere, che escono dal cardine del cuore, rimangono, testimoni di umanità.

Un commento

  1. Luisa ha detto:

    Tocca il Cuore, fa venire i brividi, riporta al vero Sé di ognuno

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