Partecipate, da zavorre a risorse - QdS

Partecipate, da zavorre a risorse

Partecipate, da zavorre a risorse

venerdì 19 Febbraio 2021

Le società a partecipazione pubblica sono diventate emblema dello spreco di risorse pubbliche

* Dario Immordino

Le società a partecipazione pubblica, create per offrire servizi efficienti a condizioni più favorevoli di quelle di mercato, sono diventate emblema dello spreco di risorse pubbliche.

In teoria l’utilizzo di modelli organizzativi a carattere aziendalistico e modalità di gestione e controllo di natura privatistica dovrebbe garantire l’economicità e l’efficienza nella gestione, liberandola dall’eccesso di oneri burocratici, mentre il controllo pubblico dovrebbe evitare che l’economicità si realizzi attraverso la riduzione della quantità e qualità delle prestazioni. Invece queste società sono state spesso utilizzate per assumere personale e spendere risorse aggirando i vincoli alle assunzioni e alla spesa delle pubbliche amministrazioni, e per eludere le regole sui concorsi pubblici, sulla concorrenza e sulle procedure di gara. Sono state così create delle vere e proprie zone franche rispetto all’applicazione delle regole fondamentali di buona gestione, che hanno prodotto moltiplicazione degli organici, alti costi di produzione e inadeguati livelli di qualità e quantità delle prestazioni, gestioni in perdita, consistente emorragia di risorse pubbliche.

Molte partecipate si sono rivelate autentiche zavorre per i bilanci pubblici, cui vengono destinate ingenti risorse nonostante l’incapacità di offrire prestazioni efficienti a condizioni più vantaggiose del mercato.
Per far fronte a questa situazione l’Unione europea ha sollecitato l’Italia a “rimediare alle cause dell’inefficienza delle imprese a partecipazione pubblica e dei servizi pubblici locali”, e negli ultimi anni la legge statale ha imposto a regioni ed enti locali di eliminare le partecipazioni societarie non indispensabili al perseguimento delle finalità istituzionali e quelle detenute in società che svolgono attività analoghe o similari a quelle esercitate da altre partecipate o da enti pubblici, e di contenere i costi di funzionamento.
Inoltre si è cercato di incrementare il livello di efficienza delle società pubbliche attraverso l’imposizione di limiti sempre più stringenti alle assunzioni, e mediante l’estensione delle regole sulla spending review, sull’acquisizione di beni e servizi, sul reclutamento del personale, sulla trasparenza della gestione e dei bilanci e sulla prevenzione della corruzione. Le norme sul cd bilancio consolidato, inoltre, consentono a regioni ed enti locali di controllare le società partecipate come proprie articolazioni, e impongono loro di verificare il conseguimento degli obiettivi e l’applicazione delle regole di buona gestione.

In Sicilia le partecipate regionali occupano quasi settemila dipendenti (che si aggiungono agli oltre 14.000 in servizio presso l’amministrazione regionale), erogano stipendi per circa 250 milioni, hanno accumulato debiti per oltre 3 miliardi, si finanziano prevalentemente attraverso contributi pubblici.

La relazione della Corte dei conti sugli organismi partecipati rivela che alcune di queste società si rivelano “geneticamente prive di una prospettiva reddituale e di sostenibilità economica”, non hanno presentato validi piani industriali e di contenimento dei costi, e talvolta neppure i bilanci, non hanno comunicato alla Regione i dati necessari per predisporre il bilancio consolidato, e svolgono “attività residuali rispetto alle originarie finalità”ed affini a quelle di altre società enti o amministrazioni pubbliche, “con conseguente raddoppio di costi per apparati amministrativi».

La Regione negli scorsi anni ha varato norme sulla trasparenza della gestione amministrativa e finanziaria, tuttavia la relazione Corte dei conti sulla parifica del rendiconto generale ha rilevato che le misure di razionalizzazione “hanno incontrato notevoli ritardi e forti resistenze” e “gli enti regionali nel loro insieme e salve alcune eccezioni” costituiscono una “finanza parallela e incontrollata” che, a causa dell’assenza “di un adeguato sistema di monitoraggio della spesa e di rilevazione analitica dei costi, sfugge al controllo” ed elude le regole di buona gestione e le norme sulla spending review. Inoltre le misure adottate dalla Regione “eludono la valutazione sulla strategicità delle partecipazioni, non consentono di conoscere se le risorse erogate dal socio pubblico corrispondano ai costi-standard o a quelli di mercato”, non prevedono “decisioni ed interventi risolutivi”.

Non si sa, insomma, quali partecipazioni servano davvero, se i costi siano giustificati e cosa verrà fatto in concreto per razionalizzare il sistema.
Nonostante ciò emerge una logica di mantenimento “a tutti i costi” e di prosecuzione degli interventi di “soccorso finanziario”, indipendentemente da serie valutazioni sull’utilità delle partecipazioni e sulle prospettive di risanamento.

Recentemente il governo regionale ha adottato ulteriori misure di razionalizzazione delle partecipazioni regionali: divieto di assunzioni, riduzione delle spese di amministrazione e gestione, chiusura delle liquidazioni, accorpamento delle società che svolgono funzioni affini per creare sinergie amministrative e organizzative, trasformazione di alcune società in Agenzie, adempimenti informativi.

E l’ultimo accordo finanziario con lo Stato impegna la Regione a razionalizzare questa vasta ed eterogenea galassia di strutture e conseguire significativi risparmi di spesa, a pena di pesanti conseguenze finanziarie.
Tuttavia l’esperienza di questi anni insegna che per realizzare gli obiettivi attesi le disposizioni normative devono essere necessariamente accompagnate da idonee formule organizzative, tecniche appropriate di verifica dei risultati e adeguati strumenti di responsabilizzazione.
Cosa si dovrebbe fare è risaputo: mantenere le sole partecipazioni effettivamente strategiche e le attività di produzione di beni e servizi “strettamente necessari” che non possono essere demandate al mercato, affidare loro obiettivi precisi e misurabili, guidarne la realizzazione attraverso direttive vincolanti, individuare le attività e le risorse umane e finanziarie necessarie, eliminare duplicazioni e sovrapposizioni con altre società o amministrazioni pubbliche, definire nuovi modelli di business e piani industriali, nominare amministratori capaci ed applicare le regole di responsabilizzazione, contenere i costi attraverso la riorganizzazione degli organi amministrativi e di controllo e delle strutture aziendali, introdurre forme di vigilanza ed obblighi informativi più stringenti sull’attività societaria, contrattuale ed economico-finanziaria (personale, consulenze, contenziosi, debiti, patrimonio, fabbisogno finanziario,ecc) e sulle cd operazioni “infragruppo”, eseguire controlli efficaci sul rispetto degli obiettivi e delle regole di buona gestione, strutturare un efficiente sistema sanzionatorio nei confronti degli amministratori e degli organi di controllo interni inadempienti.

Si tratta di adempimenti necessari a garantire che le società finanziate con risorse dei contribuenti vengano utilizzate per conseguire gli scopi istituzionali degli enti pubblici partecipanti, sulla base di precisi obiettivi, e rispettino le regole di trasparenza, meritocrazia, ed equilibrio finanziario prescritte per chi gestisce risorse pubbliche, in modo che i cittadini conoscano quanto costano alla collettività e i risultati della gestione, e gli amministratori delle società e degli enti pubblici che le controllano ne rispondano. Solo a queste condizioni le società partecipate potranno diventare uno strumento in grado di fornire a costi ragionevoli servizi e prestazioni che non possono essere affidate al mercato, né svolte in maniera efficiente dalla amministrazione pubblica.

*Componente del gruppo di lavoro sulla riforma della contabilità regionale istituito presso la Regione siciliana

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