Rispettare il cronoprogramma
Sia il Governo che l’opposizione continuano a sostenere una vera litania: “Senza gli investimenti l’Italia non può crescere”. Una santa verità che si toccherà con mano nel 2027, quando si concluderà il quinquennio del Pnrr. Infatti, tutte le relative spese non certificate entro il 31 dicembre 2026 non saranno rimborsate dall’Unione europea, anche se il commissario al ramo sarà Raffaele Fitto, il quale però non potrà fare nulla di fronte a un dato di fatto inoppugnabile.
Ma Governo e opposizione non fanno quanto sarebbe necessario per attivare i due settori che consentono di spendere i fondi pubblici: quello della Pubblica amministrazione e il non meno importante della Giustizia.
Quando gli investitori stranieri, attratti dal nostro Paese per tanti versi, esaminano di investire qui, si informano preliminarmente se la Pubblica amministrazione e la Giustizia funzionano. Le risposte sono deludenti e vediamo perché.
La nostra Pubblica amministrazione, nel suo complessivo numero di addetti di 3,2 milioni, è in condizioni organizzative pietose perché mancano al suo interno i requisiti-valori del merito, della produttività e dell’organizzazione. Cosicché non sono misurabili i risultati perché gli obiettivi di tutte le varie branche – nazionale, regionali e locali – non sono adeguati, ma hanno solo un carattere formale.
Nessuno controlla cosa fa ogni dirigente o dipendente; nessuno verifica la bontà dei cronoprogrammi; nessuno effettua controlli per accertarsi che i risultati siano conformi agli obiettivi e realizzati nei tempi previsti. Poi manca il modello organizzativo semplice ed efficace per fare funzionare in maniera adeguata, come avviene nel settore privato, tutta questa pletora enorme di persone.
Ricordiamo che l’articolo 54 della Costituzione fra l’altro recita: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore”.
Il risultato di questa disorganizzazione generale è che quando ci sono eventi, indipendenti dalla volontà umana, quali catastrofi ambientali, si tocca con mano l’inefficienza di uno Stato arretrato e non funzionante.
All’interno della Pa le lacune più vistose riguardano la formazione del personale latente e di modesto livello di digitalizzazione, con la conseguenza che i processi sono lunghi e confusionari, che la carta circola ancora in abbondanza mentre dovrebbero circolare solamente versioni digitali. Vi è un enorme ritardo nella preparazione di tutto il personale che fa fatica a inserirsi mentalmente nel sistema, non solo per obiettiva ignoranza, ma anche per cattiva volontà.
Cogliamo l’argomento per porci una domanda forse retorica. Visto che all’interno del corpo dei pubblici dipendenti le tre Forze dell’Ordine – Polizia, GdF e Carabinieri – funzionano molto bene, ma sono carenti di personale, perché non fanno concorsi interni per gli stessi pubblici dipendenti che volessero trasferirsi nei suddetti Corpi? A questi, dato i risultati notevoli che riescono a conseguire, dovrebbero essere aumentati almeno di un terzo gli stipendi, i compensi e i premi di risultato.
E veniamo all’altro comparto, quello della Giustizia. Anche in questo caso, quando gli investitori stranieri si informano e capiscono che i processi civili durano fino a dieci anni nei tre gradi di giudizio, si scoraggiano e rinunziano.
Vi sono state diverse riforme delle diverse maggioranze, ma la lentezza dei processi non è diminuita, anche perché vi sono anomalie incomprensibili. Per esempio citiamo la cosiddetta legge Pinto n°89 del 2001 secondo la quale vengono scomodati magistrati ordinari per fare semplici conteggi, per il risarcimento relativo alla lungaggine dei processi. Tali conteggi potrebbero essere fatti dai dirigenti delle cancellerie.
Il riordino della Giustizia dovrebbe snellire e scaricare il corpo dei magistrati ordinari di tante incombenze non proprie alla loro attività, fra queste, l’attività di consulenza dei vari governi che assorbono cinquecento unità, mentre l’organico è già deficiente di millecinquecento unità.
Quanto precede è risaputo; si parla di soluzioni che non arrivano.