CATANIA – Se perfino agli Stati generali – organizzati dal Governo con i vertici istituzionali nazionali ed europei – è stato organizzato un panel chiamato “Policy in the Post-Covid world: challenges and opportunities”, che ha visto il contributo di autorevoli rappresentanti del mondo accademico internazionale, è giusto chiedersi perché di “sfide e opportunità” dopo la pandemia non sia possibile discutere intensamente anche a livello locale.
Un assist è stato lanciato da Catania, nei giorni scorsi, con l’organizzazione online del convegno “Quali scenari per le città?”, in cui hanno discusso di politiche urbanistiche post-Covid professionisti catanesi della progettazione. La crisi sanitaria ha proposto, anche in Sicilia, nuovi scenari di città e messo l’accento su nuove possibilità opportunità.
È un’opportunità, per esempio, dire addio agli appartamenti di ridottissime dimensioni, che spesso ospitano un nucleo familiare in 70 metri quadrati e senza balconi, per ritrovare spazi di coabitazione. Ed inoltre, è possibile riscoprire il ruolo storico dei quartieri delle città più vecchie, progettati in passato per essere autosufficienti. Ne è un esempio Modica.
“La complessità della città può essere un punto di forza – spiega il project manager Antonio Stornello ideatore di un nuovo strumento di pianificazione urbana chiamato Kassandra, sviluppato insieme all’architetto Mark Cannata -. Prima del Covid la rinascita delle città si riduceva ad una gara a chi piantava più alberi, ma chi è progettista sa che migliorare l’ambiente urbano vuol dire realizzare una città resiliente. Kassandra crea degli scenari teorici per dare indicazioni ottimizzate alla politica, propone soluzioni basate su dati scientifici per l’organizzazione degli spazi cittadini. Oggi viviamo la moda delle città dei 15 minuti, dove tutti i servizi necessari sono a 15 minuti. Ma ripensiamo a come sono stati costruiti i quartieri, erano finiti a se stessi e forniti, avevano tutto e le città nascevano dalla composizione di questi stessi spazi”.
L’urbanistica può sfruttare la “via della pandemia”, ovvero può riconoscere e rispondere a nuove esigenze. “Nel vivere il lockdown abbiamo capito come i metri quadrati fossero un elemento importante per la qualità della vita, che è obiettivo dell’urbanistica – ha affermato l’ingegnere Maurizio Erbicella –. Il Covid-19 ha rimesso l’uomo al centro della città e dell’abitazione capovolgendo quel modello abitativo tipico del Nord che ha ridotto al minimo gli spazi per vivere in casa. Se è vero che a Sud esiste ancora un angolo cottura, è vero che non esistono però reti digitali che permettono lo svolgimento agevole dello smart working. In Sicilia il problema dell’acqua di ieri e quello di internet oggi. Dagli standard quantitativi dobbiamo passare agli standard qualitativi, alla connessione di reti ecologiche che connettono il progetto urbano all’ambiente. La pandemia può accelerare importanti processi di trasformazione, ma serve scegliere bene”.
Il Covid-19 “è effettivamente un acceleratore – ha ammesso Giuseppe Scannella, ex presidente dell’Ordine degli Architetti di Catania – ci ha aiutato a rivalutare gli spazi di risulta, ma attenzione ad osservare bene quel che ha portato. Lo smart working non è da deificare perché mobilità vuol dire anche socialità. Attenzione ad innamorarci di cose che diventano strumento per ridurre il potenziale della città come ‘luogo delle opportunità’, di luogo dove si produce innovazione ed economia. Quale tipo di connessione possiamo giudicare più importanti? Lo studio delle relazione deve essere approfondito e la politica dovrà prendersene carico”.
In conclusione la crisi è opportunità per il cambiamento. “Nella medicina ippocratica la parola crisi indica un momento in cui bisogna scegliere – ha ricordato Carlo Colloca, docente di Analisi sociologica dell’Università di Catania -. Dobbiamo lavorare ad un equilibrio diverso nel rapporto tra spazio e popolazione urbana. I margini, i balconi e i cortili condominiali hanno permesso una socialità altrimenti mai esistita. Parliamo di nuovo diritto all’abitare, per lavorare o studiare da remoto, diritto finora negato perché abitare ha voluto dire vivere in spazi stretti. La centralità non può essere più riservata solo ai consumi”.
Twitter: @ChiaraBorzi