Inchiesta

Pericolo collasso per il sistema previdenziale fra baby pensionati e troppi giovani senza un lavoro

ROMA – “Questione giovanile”. È questo il nome che – nell’ultimo Rapporto annuale dell’Inps (aggiornato a settembre 2024) – assume quel fenomeno risultante dal progressivo invecchiamento del Paese, che si incrocia al visibile calo della natalità e all’apparente impossibilità per le giovani generazioni di trovare un lavoro “stabile e ben remunerato”. Un fenomeno che assume la sua più pericolosa declinazione al Sud, e in particolare in Sicilia, dove incontra anche il “boom” delle prestazioni assistenziali.

Inps, Italia in evoluzione

Grazie alle oltre quattrocento prestazioni offerte in Italia, l’Inps (Istituto nazionale di previdenza sociale) segue l’individuo dalla nascita alla vecchiaia ed è anche in grado di fornire un quadro completo della popolazione e del suo rapporto economico con lo Stato. Quello che emerge dall’ultimo report annuale dell’Istituto è un Paese in evoluzione, con un netto recupero sul fronte dell’occupazione regolare ma con tante ombre che vanno dai vari divari (Nord-Sud, di genere, di età, giusto per citare degli esempi) al trionfo dell’assistenzialismo, soprattutto nelle zone dove l’irregolarità e la povertà la fanno da padrone.

La questione giovanile tra problemi occupazionali e spopolamento

Il rapporto Inps parte con un dato positivo: “Il mercato del lavoro italiano ha mostrato una decisa uscita dalla crisi dovuta alla pandemia”. Un secondo dato riporta però alla realtà: il lavoro c’è ma, con la crescente e ormai onnipresente inflazione, le retribuzioni non sono all’altezza. E le disparità rimangono. Nel complesso, tra febbraio 2020 e maggio 2024, il numero di occupati è aumentato di circa 912 mila unità.

La situazione demografica

Non male, se non rimanessero delle criticità notevoli. La prima è la situazione demografica: gli occupati over 50 sono ormai il 40% della popolazione attiva, quasi il doppio rispetto al 2004. La seconda è la disparità tra le Regioni. L’occupazione cresce, in generale, ma non allo stesso modo ovunque. Basta un unico dato per comprendere la situazione: il differenziale in termini di tasso di occupazione tra Lombardia e Sicilia è di 25 punti, più in generale tra Nord e Sud questo differenziale sta all’incirca sui 20 punti. E se si considera che il differenziale tra l’Italia e il resto d’Europa è di diversi punti (-16 rispetto alla Germania, -7 rispetto alla Francia, -4 rispetto alla Spagna), si mette subito in chiaro che per un giovane del Mezzogiorno o delle Isole lasciare casa per realizzarsi professionalmente spesso è una necessità più che pura volontà. Non l’unica via possibile, ma di sicuro quella prediletta per ottenere stabilità, remunerazioni competenti e compatibili con i costi della vita e legalità. Un terzo fattore è il disastro dell’occupazione giovanile, campo in cui l’Italia mostra “un ritardo significativo”. L’Inps cita uno spaventoso meno 16 punti percentuali rispetto alla Germania per quanto riguarda gli occupati nella fascia 15-29 anni. E tanto lavoro che c’è spesso non è regolare, è precario o è instabile.

Contro la “questione giovanile”, che spesso impedisce alle nuove generazioni di credere abbastanza nella stabilità lavorativa da costruirsi un futuro in Italia, sono state intraprese diverse misure per incentivare il “buon lavoro”. Si tratta principalmente di sgravi contributivi, che nell’ultimo triennio hanno avuto una variazione positiva. Apprendistato e Decontribuzione Sud sono le misure che maggiormente hanno favorito l’occupazione di giovani. La seconda, in particolare, rappresenta nel 2023 ben il 63% dei nuovi rapporti agevolati con un +6,6% di applicazioni rispetto all’anno precedente. Buona la crescita anche per Esonero Giovani e Incentivo Donne. Passando ai numeri, però, anche nell’applicazione delle misure si vedono differenze territoriali significative. Nello specifico, nella relazione Inps si legge: “Nel 2023 i contratti di Apprendistato e i rapporti instaurati con l’Esonero Giovani sono diffusi maggiormente nel Nord del Paese mentre l’Incentivo donne è più utilizzato al Sud e nelle isole. L’incentivo Decontribuzione Sud, per la sua peculiarità normativa, trova applicazione solo nelle regioni del Mezzogiorno. Come già riscontrato in passato, nelle sole regioni Campania, Puglia e Sicilia si concentra il maggior numero di attivazioni agevolate con tale misura: il 73% nel 2023”. E senza sgravi, non si assume? Di certo molto meno, soprattutto legalmente.

Pensioni, troppe uscite anticipate e un sistema a rischio “collasso”

Dall’occupazione e lo stato delle imprese il rapporto Inps passa poi all’andamento delle pensioni, un tema di enorme attualità, specialmente se si considera lo scontro politico sulla riforma – che va avanti ormai da anni e che prevede l’utilizzo di risorse al momento quasi del tutto inesistenti per rivoluzionare il sistema pensionistico – e anche il progressivo invecchiamento della popolazione che rende i diretti interessati più numerosi che negli anni precedenti.

Dal rapporto dell’Istituto emerge come il sistema pensionistico sia sempre meno sostenibile, tanto in Italia quanto nel resto dell’Unione europea. L’Italia è uno dei Paesi con l’età mediana più elevata (48,4 anni), con un significativo aumento di quattro anni negli ultimi cinque, a cui si aggiungono un tasso di fecondità tra i più bassi a livello europeo (1,24 figli per donna contro una media europea di 1,46) e una speranza di vita a 65 anni in costante aumento (attualmente a 21,5 anni). Il rischio di squilibri, con questi dati, appare dietro l’angolo. Nel report annuale dell’Istituto di previdenza, infatti, si legge: “Le stime relative all’andamento di fecondità, speranza di vita e flussi migratori fanno presagire (…) un peggioramento del rapporto tra pensionati e contribuenti, con rischi evidenti per l’equilibrio del sistema previdenziale, soprattutto in presenza di livelli di spesa previdenziale di per sé elevati”. E la spesa previdenziale in Italia non è affatto bassa, visto che si attesa al 16,3% del Pil, quasi quattro punti percentuali al di sopra della media europea (12,9% al 2021) e inferiore in termini percentuali solo a quella della Grecia.

Perché il sistema pensionistico costa così tanto? È presto detto nel rapporto Inps, che mette in campo due spiegazioni principali: l’età di pensionamento medio (64,2 anni) e il generoso tasso di sostituzione pensione-salario, che al 2023 in Italia è al 58,9% rispetto alla media Ue del 45%.

Assistenzialismo trionfante, soprattutto in Sicilia, ma le retribuzioni sono basse

La distribuzione delle retribuzioni di prestazioni, sia previdenziali che assistenziali, presenta importanti differenze tra regioni. Al Sud i trattamenti assistenziali – principalmente quelli di invalidità civile – sono predominanti: in particolare, in Campania, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna superano il 50% delle prestazioni totali. Una differenza netta con Regioni come la Valle d’Aosta e il Trentino-Alto Adige, con un oltre 95% di prestazioni previdenziali o con la più centrale Toscana, dove il rapporto tra prestazioni previdenziali e assistenziali rimane comunque 60%+ e 40%. Alla maggiore percentuale di trattamenti assistenziali, però, corrispondono importi medi assai minori. In Sicilia l’importo medio si ferma a 1.205 euro, rimanendo inferiore alla media nazionale (1.292 euro). Ci sono Regioni del Mezzogiorno, però, che fanno decisamente peggio: gli importi più bassi sono quelli della Calabria (sotto i 1.100 euro) e quelli di Molise e Umbria che i 1.100 euro li superano di pochissimo. Nulla a che vedere con gli importi superiori ai 1.400 euro lordi al mese corrisposti in Lombardia, Trentino e Lazio.

Il Sud si difende relativamente meglio, però, sul fronte della parità di genere. Il divario tra gli importi corrisposti agli uomini e alle donne, infatti, è molto meno marcato al Mezzogiorno rispetto al Nord. Sorprendente è il risultato della Sicilia, che registra nell’ultimo rapporto dell’Inps un calo percentuale del divario di genere del 13%. Un dato che pone l’Isola tra quelle con il divario più basso (22%): la precedono solo Calabria (18%), Sardegna e Campania (20%).

Il Mezzogiorno continua a contare molto sull’assistenzialismo

Il rapporto Inps – tra le righe – mette in evidenza anche che il Mezzogiorno continua a contare molto sull’assistenzialismo. Tra gli strumenti di sostegno al reddito più diffusi c’è l’Assegno unico universale per le famiglie con figli: nell’ultima rilevazione dell’Inps, il take-up della misura ha raggiunto il 93% e nel Mezzogiorno è arrivato perfino al 97% (le regioni con il tasso più alto nel 2023 sono Basilicata, Molise, Sicilia e Calabria).

Un dato “anomalo” è quello relativo all’utilizzo dei permessi per Legge 104 e assistenza di familiari con disabilità. La provincia con l’incidenza minore di uso dei permessi per genitori con figli con disabilità grave è Agrigento, che tra l’altro è tra le città con l’incidenza più bassa anche per i permessi per familiari con disabilità grave. Il perché è semplice da intuire: le realtà imprenditoriali private sono molto più piccole al Sud e le imprese più piccole tendono a essere meno sindacalizzate. C’è poi la questione delle tante donne – soprattutto nel Mezzogiorno – che scelgono di non lavorare per mancanza di strutture in grado di fornire assistenza per i propri cari con disabilità durante il turno di lavoro.

Assegno di inclusione sostegno al reddito

La novità degli ultimi mesi, sul fronte del sostegno al reddito, è l’Adi: l’Assegno di inclusione, una misura più restrittiva ma nelle intenzioni semi-equivalente all’ex Reddito di cittadinanza. In questo caso, più che in ogni altro, le differenze geografiche nella distribuzione della misura sono evidenti: in base a quanto emerge dal rapporto Inps 2024, la maggior parte dei nuclei ex Rdc risiedono al Nord, gran parte di quelli che percepivano il RdC e poi hanno percepito anche l’Adi invece sono al Sud. L’incidenza maggiore dell’Adi è al Sud: le province con il tasso maggiore di percettori è a Crotone, Napoli e Palermo (sopra il 3%), immensamente superiore rispetto alle due province con il tasso minore (Bolzano con appena lo 0,2% e Belluno con l’incidenza all’1,5%). Anche in questo caso, a rendere così evidente questo gap è la diversità delle condizioni socio-economiche tra Nord e Sud: è la storia di sempre, la disoccupazione, il lavoro carente e spesso irregolare, l’assenza di servizi efficienti e costi della vita non in linea con i redditi medi… tutto questo rende le Regioni del Sud profondamente dipendenti dalle prestazioni Inps. E i pochi miglioramenti che pure si registrano, purtroppo, non hanno ancora la dimensione di un intervento strutturale per rivoluzionare il campo dell’occupazione e della creazione di reddito.