Quando un cittadino riceve un’informazione di garanzia (art. 369 c.p.p.) dovrebbe sentirsi protetto, nel senso che può attuare le sue difese a fronte di una ipotesi di reato fondata su indizi più o meno solidi.
L’informazione di garanzia, invece, è diventata per i media l’informazione di colpevolezza, secondo la quale qualunque cittadino indagato viene supposto colpevole dall’opinione pubblica e non innocente come prevede l’art. 27 della Costituzione.
Tutto questo è inaccettabile, tenuto conto del fatto che spesso la stessa Procura si accorge che l’insieme degli indizi o delle prove da verificare non reggerebbero a un giudizio e quindi propone l’archiviazione.
Ma il danno è ormai stato compiuto, danno irreparabile perché comunque nell’opinione pubblica resta il ricordo del fatto negativo (l’accusa) e non di quello positivo (l’archiviazione).
Poi succede che la Procura chieda al gip di rinviare a giudizio l’imputato. Altra infornata mediatica, altro disdoro. Se e quando arriva l’assoluzione, non c’è risarcimento morale che tenga.
In questi giorni, a due alti magistrati – Carmelo Petralia, procuratore aggiunto a Catania, e Annamaria Palma, avvocato generale presso la Corte d’appello di Palermo – è stata notificata l’informazione di garanzia relativa a un supposto reato.
Anche in questo caso i due giudici sono finiti nel tritacarne mediatico con soddisfazione di tutti quelli che ce l’hanno con i magistrati, i quali da perfetti ignoranti non si rendono conto che proprio l’organo giudiziario tutela nel suo complesso i cittadini ed è capace di una sorta di depurazione al suo interno come – è dimostrato in questi giorni – lo scandalo che ha colpito il Consiglio superiore della magistratura.
Gli stolti non comprendono che sono minoranza quei pubblici ministeri che svolgono indagini per acquisire notorietà e non la verità, mentre la stragrande maggioranza di essi lavora con abnegazione e coscienza, per cui cerca sempre e soltanto la verità, e mai la notorietà.
Questa situazione, relativa ai processi mediatici, fuori dalle aule giudiziarie, è diventata sempre più insopportabile e va cambiata tempestivamente e radicalmente.
Come? Mediante una norma che vieti la pubblicazione dell’informazione di garanzia, che invece deve essere data al pubblico, dopo la conclusione dell’indagine e con le richieste della Procura al giudice per le indagini preliminari.
I giornalisti, da parte loro, dovrebbero conoscere a memoria il nostro Testo unico del 27 gennaio 2016 e non strillare notizie senza averne controllato la fonte, senza averne avuto conferma da due parti e avere necessaria cognizione di quello che scrivono.
Ci sono giornalisti “velinari”, cioè che pubblicano notizie filtrate dall’interno dei Tribunali e così si verifica spesso quel caso paradossale per cui un cittadino incensurato viene a sapere dalla stampa che sta per ricevere l’informazione di garanzia, dunque prima ancora che la stessa gli venga notificata.
La pubblica opinione, non ben definita dalla corrente cultura, ha il diritto di sapere. Ma cosa? La verità dei fatti e non le supposizioni, spesso cervellotiche e menzognere. Ecco perché nella prossima riforma della Giustizia dovrà essere presa in esame l’indicazione di vietare la pubblicazione dell’informazione di garanzia.
In questi ultimi mesi, un cittadino è stato accusato del reato di associazione per delinquere, per cui è prevista la privazione della libertà, come forma cautelare. Dopo tre mesi, circa cento giorni, gli accusatori si accorgono che tale ipotesi non ha alcuna consistenza, l’abbandonano e rimettono in libertà colui che è stato ingiustamente, per tutto il periodo, tra le mura di casa sua.
Cosa hanno fatto gli accusatori? Hanno scherzato con la vita di una persona, non rendendosi conto del danno che stavano causando? La cosa sembra priva di senso civile, con la conseguenza che dovrebbe costituire un momento di riflessione, per evitare che simili fatti accadano ancora.
Quanto precede non intacca minimamente la nostra posizione di riconoscenza nei confronti delle Procure e delle Forze dell’Ordine da loro guidate per l’immane lavoro che svolgono contro corruzione, evasione e mafia.
