Piazza Armerina, tra buon cibo e rieducazione - QdS

Piazza Armerina, tra buon cibo e rieducazione

Piazza Armerina, tra buon cibo e rieducazione

martedì 22 Dicembre 2020

Si è concluso proprio in questi giorni il progetto “Metti una sera a cena in cella”, che ha coinvolto i detenuti ospiti della Casa circondariale di Piazza Armerina

PIAZZA ARMERINA (EN) – “Metti una sera una cena in cella: pillole di cucina per cuochi mancati”. Questo il titolo dell’iniziativa svoltasi nel carcere piazzese.

Un percorso di odori e sapori in cui gli ospiti del penitenziario sono stati guidati da Pierelisa Rizzo, giornalista e appassionata di cucina. Dieci lezioni che hanno coinvolto sei ospiti del carcere per insegnar loro a maneggiare le materie prime, usare le spezie, sperimentare nuovi piatti e riscoprire quelli della tradizione.

Nella cucina, allestita in una delle stanze del carcere, i detenuti hanno formato una vera e propria batteria di cucina, imparando a lavorare tutti insieme, come una vera e propria squadra. Sotto l’attenta guida del direttore della Casa circondariale di Piazza Armerina, Antonio Gelardi e degli educatori Ivana La Rocca e Gianni Giannone, con la collaborazione degli agenti della Polizia penitenziaria comandati da Salvatore Puglisi, è stato possibile realizzare il corso per dare un’opportunità in più di socializzazione ai ristretti.

Viste le restrizioni imposte per l’emergenza Covid, non è stato possibile organizzare un evento di chiusura del progetto. Per questo, i detenuti corsisti hanno pensato di realizzare dei dolci per tutti gli ospiti del carcere, regalando loro un momento di dolcezza.

“È stata una bella esperienza – ha detto Pierelisa Rizzo – e credo che, proprio di questi tempi, sia necessario ricominciare a imparare il rispetto per le materie prime. Chi maneggia gli alimenti ha una grande responsabilità, perché dobbiamo sempre ricordarci che il cibo è Vita. Durante il corso, ci siamo anche divertiti, cucinando insieme, e abbiamo scoperto come realizzare molti piatti con i mezzi di fortuna che si posseggono in cella”.

“D’altro canto – ha concluso – il carcere è il luogo per antonomasia in cui si sperimenta l’arte di arrangiarsi”.

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