Piergiorgio Morosini, presidente del Tribunale di Palermo: "La Giustizia deve valere per tutti" - QdS

Piergiorgio Morosini, presidente del Tribunale di Palermo: “La Giustizia deve valere per tutti”

Piergiorgio Morosini, presidente del Tribunale di Palermo: “La Giustizia deve valere per tutti”

Roberto Greco  |
sabato 20 Maggio 2023

Morosini: “Destinare maggiori risorse laddove certe forme di criminalità risultano molto più insidiose”

Si è insediato lo scorso 4 maggio il nuovo presidente del Tribunale di Palermo Piergiorgio Morosini. Romagnolo di Cattolica, ha 59 anni. Negli anni si è occupato d’infiltrazioni mafiose nella sanità, negli appalti di opere pubbliche, nella politica e nella giustizia. Nel 2014 è stato eletto membro del Consiglio Superiore della Magistratura. QdS l’ha intervistato a proposito di alcuni argomenti che hanno fatto parte del suo discorso d’insediamento.

Presidente, vorrei iniziare da un’affermazione che ha fatto durante il discorso del suo insediamento. Lei ha detto che il diritto alla giustizia deve valere per tutti sulla base dell’art. 3 della Costituzione…
“L’articolo 3 della Costituzione è fondamentale sotto tutti i punti di vista e non solo per le prestazioni giurisdizionali che provengono da un ufficio come il nostro. È altresì molto importante la percezione che si ha del Tribunale all’esterno, nell’opinione pubblica che a Palermo, per esempio, è composta da donne e uomini che provengono da realtà geografiche e sociali molto diverse ma che, tutti, devono sentirsi tutelati dal circuito giudiziario. Un esempio? Se un cittadino extra comunitario subisce una qualsiasi forma di violenza o di estorsione, deve sapere che, quando verrà a testimoniare parlando della sua vicenda personale e umana, troverà l’ascolto di persone che lo mettono sullo stesso piano di tutte le altre. Siamo i primi a dover rispettare tutti, il che significa, prima di assumere qualsiasi tipo di decisione, è necessario ascoltare il punto di vista delle parti che abbiamo davanti, chiunque esse siano. Dobbiamo avere la capacità di saper leggere i mutamenti della società”.

Lei sa bene, proprio per le sue esperienze pregresse, che l’intero Paese, e la Sicilia in particolare, oggi ha bisogno non solo del diritto alla giustizia ma anche di quello alla verità come, peraltro, dimostrano le sentenze emesse in questi ultimi anni relative alla strage di via d’Amelio…
“Il diritto alla verità è oggi riconosciuto a livello internazionale. In Sudafrica come in Argentina, dopo eventi drammatici come dittature molto violente o colpi di Stato, sono state istituite commissioni parlamentari per il riconoscimento della verità. Si tratta di organismi rappresentativi di tutte le sensibilità e le culture di un determinato popolo, con l’obiettivo di comprendere cosa sia realmente accaduto in momenti particolarmente drammatici per definire un punto di ripartenza in un’ottica del riconoscimento della dignità di tutti. Quanto è accaduto nel 1992 e 1993 lo ricordiamo tutti. Se riteniamo che la verità emersa sinora sia appagante, possiamo dire ‘va bene, andiamo aventi così’. Sono abituato a rispettare le sentenze emesse dalla magistratura, ma non c’è dubbio che sulla stagione delle stragi ci siano ancora punti oscuri, pezzi mancanti e pagine ancora da chiarire. Credo sia necessario capire se effettivamente si è trattato di operazioni che hanno coinvolto solo Cosa nostra corleonese o se, in quella stagione di sangue, ci siano state convergenze con altre realtà, se ci siano state operazioni di depistaggio e di copertura di quello che è stato lo svolgimento dei fatti”.

Ma la giurisdizione ha gli strumenti per arrivare sino in fondo alla comprensione di certe vicende? Una commissione parlamentare d’inchiesta potrebbe essere utile?
“Probabilmente il diritto alla ricerca della verità può essere coltivato contemporaneamente su più piani, come ha scritto Stefano Rodotà in alcune sue pagine bellissime. Io non credo ci si possa sentire appagati dalle verità giudiziarie emerse sino ad ora rispetto a quella stagione. Una commissione d’inchiesta potrebbe spingersi oltre rispetto ai temi da approfondire e questo sarebbe utile per chiarire determinate vicende e la relativa matrice. Ritengo che ciò non sia incompatibile con il fatto che, parallelamente, possano essere avviati altri accertamenti giurisdizionali. Le due cose non sono assolutamente incompatibili”.

Credibilità della magistratura. Cosa ritiene sia necessario fare affinché si superi questa sfiducia?
“Non c’è dubbio che le stragi del ’92 abbiano determinato, fisiologicamente, un’apertura di credito nei confronti della magistratura palermitana che è stata enorme. Siamo stati visti come ‘i buoni’, al di là dei nostri meriti reali. Oggi quel periodo è terminato. Il nostro paese ha vissuto pagine problematiche nella vita interna della magistratura, lo stesso ambiente palermitano ne è stato colpito, per esempio a proposito delle misure di prevenzione. Capacità di ascolto, trasparenza delle decisioni, serietà del ruolo è quello su cui dobbiamo lavorare. Per molte persone l’ingresso in questo palazzo è un fatto più unico che raro e si ricorderanno se siamo stati altezzosi anziché disponibili al dialogo, se siamo stati attenti all’ascolto o sbrigativi nelle procedure da espletare. Dobbiamo lavorare su questo perché le persone, di noi, ricorderanno principalmente il comportamento che abbiamo avuto nei loro confronti”.

Fondi del Pnrr, investimenti per l’aumento dell’efficienza della macchina giustizia…
“Gli investimenti nella giustizia, come l’Ufficio per il processo, hanno permesso al circuito giudiziario di acquisire nuove energie ma gli consentono anche di restituire alle Istituzioni persone preparate tecnicamente e con esperienza nella giurisdizione. Quanti andranno a lavorare in altri ambiti porteranno con sé un ‘pezzo di noi’, parte delle nostre competenze. Si tratta di una restituzione che ben compensa l’investimento, che permette di realizzare un’osmosi tra i diversi apparati istituzionali”.

Fondi del PNRR, appetiti delle mafie…
“Dobbiamo tenere conto che un capitolo significativo e importante del PNRR è quello del rilancio di un’economia che è stata fortemente segnata da un periodo di stasi dovuto anche alle misure anti-Covid. Come in ogni frangente eccezionale, le varie mafie del nostro paese cercano di sfruttare la situazione. Le nostre risorse normative e istituzionali sono tra le migliori del mondo occidentale e la nostra biografia ci ha permesso di sviluppare i necessari anticorpi per contrastare il fenomeno. È chiaro, però, che in questo momento dobbiamo mettere in campo proprio queste capacità per evitare che gli appetiti della criminalità organizzata riescano a drenare risorse che servono per rilanciare l’economia sana. Dobbiamo puntare molto sulle specializzazioni che riguardano i reati contro la pubblica amministrazione e quelli nel circuito economico-finanziario perché in questo campo non c’è un patrimonio ampiamente diffuso a livello nazionale, come c’è ad esempio per i c.d. reati di sangue. Leggere nelle pieghe di un bilancio di una società o di una holding è un lavoro da specialisti e, da questo punto di vista, alcune zone del nostro paese hanno lacune anche per mancanza di risorse che forse sarebbe necessario destinare proprio là, dove certe forme di criminalità sono più insidiose. Quelle in nostro possesso, oggi, devono essere allocate proprio in quelle zone più fragili da questo punto di vista”.

In chiusura, “ben tornato a casa” è l’augurio che diversi colleghi, durante l’udienza del suo insediamento, le hanno rivolto. Cosa rappresenta questa città per lei?
“Questo Palazzo di Giustizia è stato il baricentro della mia vita, non solo professionale, per ventisette anni. Sono venuto a Palermo per scelta dopo le stragi del ’92. Era un momento di grande cambiamento per il paese e, come molti altri colleghi, pensavo fosse necessario dare una mano a questa realtà, per mettere in condizione quelli che avevano più conoscenze di poter fare meglio il proprio dovere. Pensavo a un’esperienza di qualche anno a Palermo per poi tornare nella mia terra anche perché, allora, ritenevo che l’Emilia-Romagna non avesse bisogno di un impegno così importante come quello che era previsto per la Sicilia di quel periodo. Proprio da qua, dalla Sicilia, ho invece capito che le stesse dinamiche e certi problemi che inquinavano l’economia, le pubbliche amministrazioni e le consultazioni elettorali potessero riprodursi e proporsi anche in altre latitudini, come quella da cui provenivo io. E comunque sì, qui mi sento a casa”.

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