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Piero Melati presenta il suo nuovo libro: “Da nessuno mai scuse alla famiglia Borsellino per depistaggio”

Piero Melati presenta il suo nuovo libro: “Da nessuno mai scuse alla famiglia Borsellino per depistaggio”

“La storia della famiglia Borsellino è un grande romanzo che si è scritto da solo, in cui c’è dentro tutto: il tradimento, le menzogne, la fedeltà e il coraggio”

Oggi alle 18:30, presso l’Atrio Monumentale dedicato a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Palermo, Piero Melati presenta il nuovo libro dal titolo “Paolo Borsellino – Per amore della verità”.

Con lui ci sarà Fiammetta Borsellino, la più giovane dei figli del magistrato che morì nella strage di via d’Amelio il 19 luglio di trent’anni fa. Abbiamo parlato con lui di questo libro e dei motivi che l’hanno spinto a scriverlo.

Ma, Melati, c’era veramente bisogno di un nuovo libro su Paolo Borsellino?

“No. Non ce n’era bisogno. Ne sono usciti più di ottanta, di libri su Borsellino, e io non l’avrei fatto mai se non per due motivi. Il primo è che la storia di Paolo Borsellino mi ossessiona da sempre. Mi ossessiona lui come persona e quando sento dire “l’alter ego di Falcone” oppure “la seconda strage” mi si rovesciano le viscere perché Paolo Borsellino è sempre stata una persona autonoma e significativa. Mi ossessiona perché l’unica figura cui posso paragonarlo è quella di Ettore dell’Iliade, per la scelta che ha fatto e per la determinazione con la quale è andato incontro al suo destino. È evidente che questa è una storia di mafia, piena d’implicazioni ma ritengo che questa proprio questa storia, se fosse accaduta in un altro luogo e in un altro tempo, ai tempi di Garibaldi o di Eschilo per intenderci, nella sua interezza sarebbe stata ugualmente significativa e non avrebbe perso nulla della sua universalità.

Il secondo motivo è Fiammetta. Mi sono ritrovato per caso, senza nessun interesse editoriale o giornalistico, a conoscerla durante le mie permanenze a Palermo quando dirigevo “Una marina di libri”. In quel periodo è iniziata una consuetudine, quella d’incontrarci quasi tutte le mattine in uno dei bar della Kalsa, vicini a casa sua mentre le figlie erano a scuola. Abbiamo trascorso ore a parlare e, devo dirti, che non ho mai pensato di utilizzare queste nostre chiacchierate. Proprio in quel periodo, ad esempio, seguii l’iter dei suoi incontri in carcere con i Graviano e non ho mai divulgato questa informazione per due anni. L’avrei potuta dare per primo ma non ci ho mai pensato nonostante sarebbe stato un bel titolo di apertura ‘Fiammetta Borsellino incontra in carcere i carnefici di suoi padre’”.

È nato quindi un rapporto che ha “dato” a entrambi…

“Senza dubbio. Per quello che mi riguarda il rapporto con Fiammetta mi ha permesso di rivisitare il mio passato ma non in chiave nostalgica, aspetto che avevo già risolto, ma con il famoso “senno di poi”, con la capacità di capire meglio alcune cose che allora non erano chiare e capire che altre, per contro, erano ancora più oscure di quanto non lo fossero allora. È stato un po’ come “riavvolgere il nastro” e tornare ai tempi in cui anche il cronista si sentiva dalla medesima parte della barricata di quel manipolo di uomini. Poi, in mezzo, c’è stata la pandemia e ci siamo persi di vista per un po’ di tempo fino a quando non l’ho chiamata per parlarle della possibilità di trasformare le nostre chiacchierate in un libro”.

Quando ne hai parlato con Fiammetta, cosa ti ha detto?

“Che riteneva che questa storia ha un paradosso e che si muove continuamente, nel bene o nel male, che non è mai chiusa, che genera sempre qualcosa di nuovo e che questo tipo di “viaggio” doveva essere affrontato senza pregiudizio alcuno. Poi ho incontrato a Roma Lucia, che non conoscevo. Ovviamente ho parlato anche con altri ma ho cercato costantemente di lasciare intatto il taglio immacolato che loro davano alla vicenda e che fossero le mani delle due donne che muovessero il telaio, anche se l’io narrativo è il mio”.

Piero Melati presenta il suo nuovo libro: “Da nessuno mai scuse alla famiglia Borsellino per depistaggio”

Sei riuscito a essere trasparente, come autore…

“Sì. Assolutamente trasparente perché parla questa storia, non io. Mi sono reso conto, durante questo viaggio, che c’era qualcosa di nuovo che non era mai stato messo in fila con ordine, quello che era successo a questa famiglia dopo la strage e che è paragonabile alla strage stessa e al destino del loro padre”.

Cosa intendi?

“Nessuna famiglia di vittima di mafia è stata mai trattata in questo modo. A ognuno di loro è successo qualcosa di specifico e particolare, che all’inizio è successo a tutti insieme. Non hanno mai cambiato il loro atteggiamento, che incarna la scelta che fece la madre, Agnese, quando, dopo la strage, decise di non fare per il marito i funerali di Stato. La loro decisione di non partecipare alle celebrazioni ufficiali del 19 luglio è la prosecuzione di questa scelta. Nel tempo la loro situazione non solo non è cambiata ma è addirittura peggiorata e mi sono reso conto della dimensione orwelliana in cui sono stati segregati all’indomani della strage di via d’Amelio”.

“Alcuni esempi? Il presunto tentativo del riciclaggio del tesoro di Ciancimino all’interno della fondazione che portava il nome di Borsellino come la partecipazione di Lucia alla Giunta di Crocetta, che sulla carta doveva essere quella del cambiamento ma che dimostrò di non essere diversa dalla altre, e che la portò a dimettersi a seguito di minacce e pressioni e che vide il fratello Manfredi, commissario di Polizia, a scendere in campo per difenderla e che, come disse lo stesso Manfredi in quell’occasione, la primogenita di Borsellino è costretta ad abbandonare la sua terra, quella terra che dato i natali a lei e a suo padre, un eroe siciliano ma non solo”.

“E poi c’è Fiammetta, che nel venticinquennale ha deciso di scendere in campo, anche per salvaguardare sia Lucia sia Manfredi, come portavoce della famiglia. Da quel momento in poi ci è stata isolata e nei suoi confronti ci sono stati solo attacchi. Non esiste altra vittima di mafia che sia stata insultata proprio dall’antimafia e dalle Istituzioni che dovrebbe essere, invece, vicine ai familiari delle vittime”.

“Poi c’è stata la scelta di incontrare i Graviano, un percorso che non era mirato a un’espressione di odio, alla volontà di ottenere rivelazioni e nemmeno di concedere loro il perdono. Fiammetta si è andata a cercare il proprio “altro” da sé per elaborare il proprio dolore, cosa che non era riuscita a fare all’interno della società, nel confronto con le istituzioni e con le persone a lei vicine. Si tratta di una vicenda che non ha precedenti e che bisognava raccontare”.

Non si tratta, quindi, di un saggio o di un’inchiesta ma del racconto della storia di una famiglia…

“Si. Ma è un racconto che tiene conto, anche sulla base di riflessioni e analisi di atti processuali, di alcune novità riguardanti le nuove ipotesi sulle motivazioni della strage di via d’Amelio. Si tratta di scenari nuovi che ritengo siano più credibili di quanto non lo fossero quelli iniziali. Si tratta di una presa d’atto che la mafia non è più quella di prima ma che, in realtà, non sappiamo cosa sia diventata. Continuiamo a dipingerla come allora, spacciando qualche ottuagenario tenuto in vita da bombole d’ossigeno come il nuovo boss della commissione, ma è palese che quel modello di mafia non esiste più e che c’è solo bisogno che esista”.

“Nel periodo delle stragi i mafiosi hanno messo in sicurezza i miliardi guadagnati con il traffico di droga e ricordo che l’ultimo pentito che sentì Borsellino gli spiegò che “stavano cambiando pelle”, cosa che, nella sua storia, la mafia aveva già fatto in diverse occasioni uscendone più forte. In realtà in questi ultimi trent’anni non è stato fatto nulla e l’ultima vera inchiesta è stata quella che portò al maxi-processo. Si sono fatti processi sulla trattativa, si sono fatti, nel periodo di Caselli, grandi processi mediatici come a dire “vediamo chi c’è dietro Cosa nostra” ma si è buttata a mare la grande lezione di Falcone e Borsellino, che è stata quella di “seguire il denaro” e proprio gli ultimi discorsi di Falcone e Borsellino, invece, riguardano proprio questo”.

“Voglio ricordare il convegno all’hotel “La Torre” in cui Falcone indicò che la mafia si stava quotando in borsa e il convegno a Castel Utvegio, nell’anno delle stragi, in cui Falcone parlò del dossier “mafia-appalti”. Peraltro proprio in quegli ultimi 57 giorni non c’è dubbio che si evinca con chiarezza l’intenzione di Borsellino di usare quel dossier come leva per far saltare un coperchio che non si era mai voluto sollevare”.

“E poi c’è l’imbarazzo del Csm che, nonostante le tante richieste ricevute dai figli di Borsellino, non ha mai affrontato il caso dei magistrati legati al depistaggio, nemmeno sul piano disciplinare, a causa di altri imbarazzi. Cosa più grave, ma non ultima, è che nessuno ha mai chiesto scusa alla famiglia Borsellino per il depistaggio, nessuno ha mai chiesto scusa alla memoria di Paolo Borsellino, nessuno è mai andato dalla famiglia di Borsellino a spiegare, anche sul piano umano, le incomprensioni che ci sono state”.

Sei soddisfatto del lavoro di questo libro?

“Alla fine sì. Ho avuto momenti difficili in cui non avevo la certezza di arrivare in fondo all’impresa o di riuscire a rendere il dramma contenuto in certi dialoghi in cui mi sono trovato coinvolto, ma alla fine penso di avercela fatta. È un grande romanzo che si è scritto da solo, in cui c’è dentro tutto: il tradimento, le menzogne, la fedeltà e il coraggio”.

“È un romanzo difficile da raccontare ma questa storia dimostra come non siamo stati capaci di elevare le vicende siciliane ai grandi drammi che l’Europa ha vissuto nel ‘900 e dopo. Quello che è successo in Sicilia, e lo possiamo rappresentare attraverso la storia dei Borsellino, è equivalente alla guerra civile spagnola, all’apartheid in Sud Africa e ai seguiti del nazismo in Germania ma non ce l’abbiamo fatta a portarlo a quel livello”.

“L’atteggiamento dei figli, caratterizzato dalla sobrietà, è ancora una volta l’indicazione di quanto gli aveva raccomandato il padre quando diceva, scherzando, “un domani sarete figli di vittima di mafia ma cercate di non di fare le vittime di mafia” e che è connessa con l’atteggiamento che Borsellino interpretava il suo lavoro di magistrato e di stare nella società. Oggi Fiammetta dice: “Io mi trovo malissimo quando devo fare interviste o andare in televisione, l’unico posto in cui parlo volentieri di mio padre sono le scuole perché i ragazzi non hanno pregiudizi, fanno domande ingenue ma sono sinceri” e forse è proprio da qua, che dobbiamo ripartire”.