L’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ha comunicato qualche giorno fa che il Pil italiano incrementerà dello 0,6 per cento sia nel 2025 che nel 2026. Allo stesso tempo, l’inflazione passerà dall’1,9 per cento nel 2025 all’1,8 per cento nel 2026.
Ergo, vi sarà un decremento della ricchezza prodotta dell’1,3 per cento circa, cioè la differenza fra aumento economico e diminuzione del valore.
Questo è il quadro inoppugnabile di cui nessun mezzo di comunicazione parla, con la conseguenza che cittadine e cittadini non sono informati sulla realtà. Essi sentono solo i dati positivi, non sono sommati algebricamente a quelli negativi (superiori) e quindi ritengono che le cose vadano bene, mentre in effetti vanno male e non di poco.
Perché vi è questa malattia nascosta, mentre invece si espone un benessere inesistente? Perché il sistema Italia e il sistema Unione Europea sono ammalati. Di che cosa? Di incapacità, consistente nel non fare quelle riforme strutturali che cambiano fondamentalmente il modo di funzionare sia dell’economia, che dell’assistenza sociale e di tutte le altre branche pubbliche, che vengono gestite giorno per giorno senza un progetto decennale o quindicennale.
L’argomento viene da noi riproposto frequentemente perché la questione trattata è fondamentale per la crescita di un Paese da un punto vista economico, sociale e culturale. I tre aspetti sono collegati perché solo chi possiede conoscenze e chi ha capacità di fare valutazioni obiettive può esprimere la propria volontà, anche in sede di voto, per dare un indirizzo preciso a chi poi va a governare.
Sentiamo continue parole, e non concetti, da parte dei Conservatori (Destra) e dei Rinnovatori (Sinistra). Ma alle parole non seguono i fatti o, per lo meno, seguono fatti che riguardano il giorno per giorno e mai un percorso che costituisca il futuro. Percorso che dovrebbe essere fondamentale al fine di ottenere una crescita da lasciare alle generazioni successive.
Così andando avanti, invece, il futuro (2030-2040) sarà peggiore del presente perché qualunque soggetto, umano o economico, ammalato o si cura per guarire oppure morirà.
Abbiamo più volte elencato le riforme strutturali e i programmi decennali che i Governi e le maggioranze in carica dovrebbero adottare. Proviamo a elencarne qualcuna.
In primis, la riforma della macchina dello Stato, cioè delle sue Pubbliche amministrazioni, del tutto inefficienti e incapaci di realizzare programmi secondo tempi prestabiliti e con la necessaria efficacia. Questa carenza vanifica in parte la volontà dell’Esecutivo nazionale, delle Regioni, delle Province e dei Comuni perché, appunto, gli indirizzi politici non vengono attuati con quell’efficienza, professionalità e puntualità necessarie per raggiungere i risultati nei tempi previsti.
L’inefficacia delle istituzioni comporta un rallentamento del sistema economico, che quindi ha bisogno di forti addizioni, anche finanziarie, per compensare le perdite di lavoro e altre.
In secundis, il Sistema sanitario nazionale, per il quale ogni anno si spendono quasi centocinquanta miliardi fra bilancio dello Stato e bilanci delle Regioni, dimostra limiti formidabili.
Poi, i Piani generali delle infrastrutture di ogni tipo – stradale, autostradale, interventi idrogeologici, riparazione dei territori, costruzione di argini dei fiumi e altri – non fruttano in toto le risorse europee, costituite maggiormente dal Pnrr, ma anche dal Piano operativo, cui si addizionano risorse nazionali come il Fondo di sviluppo e coesione, ed altre.
E torniamo al punto di partenza: la Pubblica amministrazione, poiché non funziona – sembra una bestemmia! – non spende tutti i soldi che ha a disposizione. I soldi ci sono, ma restano negli sportelli degli Enti che dovrebbero erogarli, europei e nazionali.
Questo è un quadro sintetico e sicuramente incompleto delle ragioni dell’immobilismo del nostro Paese. Ed è proprio per lo sviluppo e per il progresso che il nostro Governo dovrebbe operare, con una visione strategica, senza preoccuparsi troppo delle critiche inutili, cioè quelle che non propongono soluzioni migliorative alternative, né dei sondaggi.

