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Pino Aprile: “Il Ponte è la chiave dello sviluppo del Mezzogiorno e dell’intero Paese”

Pino Aprile: “Il Ponte è la chiave dello sviluppo del Mezzogiorno e dell’intero Paese”

Parola di Pino Aprile, giornalista e scrittore che vede nella realizzazione dell’infrastruttura di collegamento stabile tra Sicilia e Calabria una chiave di volta per la crescita del Sud: grazie all’opera, infatti, il Meridione diverrebbe un enorme porto commerciale tale da convogliare tutto il traffico marittimo. Ma questo possibile cambio di rotta sembra destare preoccupazioni. E mal di pancia…

È appena calato il sipario sul primo atto di una vicenda della quale, i più avveduti, immaginavano già la conclusione. Compreso Checco Zalone, che al Ponte – un’opera che sono anni ca a gente ne parla… ma non la fanu mai – aveva dedicato, sedici anni fa, una canzone.

Al coup de théâtre del 29 ottobre con il rifiuto della Corte dei Conti di registrare la delibera Cipess sulla quale poggia l’iter per il Ponte sullo Stretto, sono seguite le motivazioni della sentenza di bocciatura – la violazione delle normative europee su Ambiente e appalti – e la decisione del Governo di andare avanti. Con il vice premier e ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, che nei primi di dicembre, dopo aver incontrato il commissario europeo ai Trasporti, Apostolos Tzitzikostas, ha ribadito che l’orientamento di Bruxelles è quello di fare in modo che l’opera possa partire quanto prima.

Da qualche tempo, però, al Sud si comincia a pensare che la determinazione del capo della Lega ex Nord nel portare avanti il progetto, potrebbe basarsi sulla filosofia del noi ci guadagniamo comunque.

Rientra in questo quadro l’opinione espressaci da Pino Aprile, giornalista e scrittore che da decenni si batte per i diritti del Mezzogiorno d’Italia: “Il dubbio è che Salvini possa aver costruito tutta la faccenda in modo che, come previsto dal contratto, la Webuild venga risarcita anche se il Ponte non sarà realizzato”.

“Non dimentichiamo – ha aggiunto – che Webuild è la ex Impregilo, che ebbe pagata tutta la tratta della Salerno Reggio Calabria anche se l’autostrada non giunse mai a Reggio, ma a Villa San Giovanni. Quindi ci sono importanti precedenti a questo genere di contratto”.

Ma chi finanzia il Ponte, oltre allo Stato italiano?
“Quando i leghisti accusarono Salvini di sprecare risorse per il Sud con il progetto del Ponte, quello spiegò ai suoi come quei soldi sarebbero tornati tutti al Nord perché le aziende cui era affidato l’appalto erano settentrionali. Non solo: va ricordato come, alla spesa per il Ponte, concorrano, economicamente, Sicilia e Calabria e che altre risorse provengono dai Fondi per la coesione territoriale, per l’80% destinati al Sud. Insomma, il Ponte ce lo paghiamo noi terroni, come se non riguardasse l’Italia intera, non l’Europa, che lo chiede dal 1976”.

Questo il danno. La beffa sarebbe doverlo pagare senza che in realtà sia stato costruito. Ma perché il Ponte è sempre al centro di polemiche?
“Perché il Sud è una colonia che viene messa contro sé stessa dal colonizzatore. E questo condiziona la cultura dominante sfruttando lo strumento della comunicazione nazionale, tutto in mano ai poteri del Nord e che consente ai potentati economici di fare quanto a loro serve. L’economia guida, il potere esegue, la comunicazione convince e la cultura dominante giustifica. Il sistema è rodato: in tutto il mondo quando l’economia ha avuto bisogno di schiavi, è stato usato questo sistema, come in Italia con Cesare Lombroso che parlò dei meridionali criminali nati. Così in Italia il Nord ha sottratto risorse al Sud condannandolo a un ritardo di cui è vittima ma gli viene rimproverato come ne fosse l’artefice. Aggiungiamo che la comunicazione nazionale da oltre un secolo e mezzo bolla quello meridionale come territorio abitato soltanto da sfaticati, ignoranti, parassiti e criminali. Anche se ultimamente vengono diffusi dati trionfalistici su presunte impennate dell’occupazione, presto smentite dalla realtà”.

Perché i potentati economici del Nord avrebbero paura del Ponte?
“Perché rivoluzionerebbe il sistema dei porti, attualmente ripartito tra Trieste in Adriatico e Genova nel Tirreno, che hanno un numero limitato di banchine retroporto. Uno solo di porti del Sud come Gioia Tauro, Taranto, Augusta , ha più banchine di tutte quelle del Nord messe assieme. Eppure, come non c’è mai stato un movimento No Mose a Venezia, oggi non ci sono No Diga foranea a Genova: ci sono solo i No Ponte”.

Ma a Genova sono state riscontrate criticità?
“La Diga foranea prevede la realizzazione di un basamento, su fondali profondi fino a 50 metri, per proteggere dalle onde il porto, e una serie di banchine retroportuali. Va ricordato che nel 2022 il prof. Piero Silva, ingegnere idraulico docente della Sorbona e tra i maggiori esperti portuali al mondo, consulente dell’impresa, si era dimesso affermando che l’opera non avrebbe potuto, come previsto dal Pnrr, essere realizzata entro il 2026, che i costi sarebbero stati molto superiori al previsto. Ma soprattutto aveva spiegato che la diga rischiava di sprofondare sul fondale limaccioso, con gravi pericoli. Beh, anche in questo caso all’appaltante Webuild è stato garantito che ogni extra sarà coperto dallo Stato. Intanto è in corso un’indagine poiché quanto finora costruito della diga, già comincia a sprofondare. Ma della questione si parla poco: si preferisce puntare i riflettori sul Ponte”.

Perché?
“Perché, se si facesse il Ponte e le strutture ferroviarie e stradali connesse, le supernavi che giungono nel Mediterraneo preferirebbero sbarcare ad Augusta, Gioia Tauro, Taranto e non certo caricarsi i costi per raggiungere gli asfittici porti di Trieste e Genova. Insomma, il Ponte è la chiave dello sviluppo non soltanto del Sud ma dell’intera Italia, perché moltiplicherebbe il traffico delle merci che giungono in Europa da tutto il mondo. È palese che si debba fare, ma il Nord è terrorizzato dall’idea che possa condurre a un’improvvisa, reale crescita del Meridione anche in termini di lavoro. A Rotterdam, tra porto e indotto, lavora quasi mezzo milione di persone. E ad Augusta, sta sviluppando un sistema di banchine che sarebbe il più grande d’Italia. Con il Ponte e le opere ferroviarie e stradali connesse tutto il Sud diverrebbe un enorme porto commerciale che convoglierebbe tutto il traffico marittimo. Così… si grida che è importante farlo e poi… Il Nord si sta comportando ancora una volta come il marito che preferisce… amputarsi pur di non farne godere la moglie”.

Un’autocastrazione?
“Già: l’Italia nordista si castra per impedire lo sviluppo della Nazione perché… partirebbe dal Sud. Il Ponte è infatti la cerniera di tutto questo. Ecco perché il potere economico settentrionale da una parte crea progetti zoppi destinate solo ad arricchire in qualunque caso le imprese del Nord, dall’altra, attraverso la comunicazione nazionale, fomenta i No Ponte. Ma, come dicevo, è piuttosto curioso che non esistano i No Diga foranea a Genova. Se movimenti sociali e culturali puntano l’indice sul Ponte, coinvolgendo non solo i meridionali in mala fede ma anche quelli convinti dalla comunicazione nazionale, ci spiegassero però perché tutte queste obiezioni non vengono fuori per esempio per il terzo valico per forare l’appennino della Liguria”.

E gli ambientalisti?
“Animati da tante buone intenzioni ma… sempre e soltanto al Sud. Per trent’anni il raddoppio ferroviario tra Termoli e Lesina è stato bloccato, isolando l’intero Meridione, perché la realizzazione della ferrovia avrebbe disturbato la presenza dell’uccello fratino, un piccolo trampoliere che nidifica in quelle zone umide. Ma vi pare possibile che nessun movimento ambientalista si sia mai preoccupato, per il Mose di Venezia, delle sofferenze, – invento – della vongola striata? Per gli scempi della Diga di Genova per le afflizioni della sarda cornuta? Mai nessuno che abbia preso le difese della povera lumaca albina, messa in pericolo dai lavori per le Olimpiadi invernali che stanno stuprando la zona della Milano-Cortina e dei monti veneti? Mai nulla, su al Nord, che ostacoli grandi opere. Perché le sensibilità si manifestano solo per bloccare opere pubbliche nel Mezzogiorno. Spesso con una curiosa motivazione: tutto deve rimanere com’è, perché… poi, lì al Sud, devo poter passare delle magnifiche vacanze! È un paradiso, lasciamolo immutato”.

Come i meridionali possono risolvere tutto questo?
“Rendendosi, almeno mentalmente, autonomi. La comunicazione è in mano dell’economia dominante. In Confindustria solo il 7% è meridionale e si tratta di piccole e medie aziende, che, spiace dirlo, ma non contano nulla. Ricordiamoci che, ai tempi di Draghi presidente del Consiglio, Confindustria ebbe la faccia tosta di porre al Paese la “Questione settentrionale”. Ecco, se i nostri imprenditori si rendessero conto che creando una Confindustria Sud, invece che essere considerati come parenti poveri e fastidiosi, potrebbero trattare direttamente con il Governo e l’Europa, allora molte cose cambierebbero”.

Tornando al Ponte: presenta davvero tutte queste criticità costruttive?
“Ma pensate davvero che tutti gli ingegneri e i professionisti che hanno certificato la fattibilità del Ponte in cinquant’anni, siano così ansiosi di finire in galera?”