Le fonti ufficiali comunicano che il Pil di quest’anno aumenterà appena dello 0,3 o 0,4 per cento, come dire che resta immobile.
Perché questo stallo? La risposta è univoca: il sistema pubblico delle autorizzazioni e dell’approvazione dei progetti, gli iter burocratici, quelli di controllo e via enumerando, sono di fatto una cappa asfissiante delle iniziative e delle attività, soprattutto quelle che hanno un pilastro nella costruzione di infrastrutture, le quali sono un motore per fare aumentare il Pil.
Fino a qualche tempo fa vi era il collare finanziario che, essendo stretto, impediva l’accesso alle risorse necessarie per investire nella costruzione di ciò che serviva e serve al Paese, fra cui – non bisogna dimenticarlo – la riparazione del territorio in senso più ampio.
Ma oggi questo alibi non c’è più perché le risorse finanziarie ci sono, solo che non si spendono e soprattutto non si spendono secondo cronoprogrammi tassativi che consentirebbero il rispetto di tempi prestabiliti.
Tutto quanto precede è conseguenza di un ceto politico incapace di dare disposizioni precise e di controllare che esse vengano eseguite nei tempi previsti, oltre, in subordine, di un’attività amministrativa che non è efficiente e che quindi non consente di eseguire le disposizioni ricevute nei tempi previsti.
Quando un’opera, una struttura o qualcosa di simile viene realizzata col ritardo del dieci per cento, si grida al miracolo, mentre quando il tempo “solamente” si raddoppia, si ritiene che sia normale.
Questa mentalità sta facendo calare la qualità di vita del Paese, che si basa sulle infrastrutture. Al riguardo, dobbiamo ricordare il grande economista John Maynard Keynes (1883-1946), il quale diceva che per fare crescere la ricchezza bisogna investire – anche a debito – nelle infrastrutture. Sembra una parola magica e forse lo è, comunque è la chiave dello sviluppo.
Certo, vi sono altre gambe per fare crescere il Pil, come per esempio quella dei consumi. Ma per consumare i/le cittadini/e debbono incassare di più e, per farlo, la ruota economica deve essere attiva. Inoltre, il consumo eccessivo (consumismo) ha degli effetti sociali e ambientali nefasti, com’è noto.
Per fare aumentare il Pil servono dunque competenze, come dimostra il fatto che in Spagna le linee ferroviarie ad alta velocità (i nostri Frecciarossa o Italo) contano ben 3.200 chilometri; nel nostro Paese arrivano a malapena a 1.100 chilometri. In Spagna il cinquantasette per cento dell’energia è rinnovabile, mentre nel nostro Paese arriva a malapena al quaranta per cento. Ancora, il turismo spagnolo è più sviluppato numericamente di quello italiano.
Insomma, “l’arretrata” Spagna oggi sta superando per molti versanti “l’avanzata” Italia, prova evidente che il ceto politico che ha governato il nostro Paese negli ultimi trent’anni è stato incapace di farlo crescere adeguatamente, muovendo le giuste leve economiche e aiutando l’ulteriore gamba che serve per l’aumento del Pil, cioè tutto il versante delle imprese dei vari settori merceologici.
Le imprese, per funzionare, debbono avere infrastrutture di primo livello, per cui la circolazione delle merci è avvantaggiata; debbono avere una Pubblica amministrazione digitalizzata e competente che risponda puntualmente a tutte le richieste; debbono avere un ceto politico capace di guardare lontano e progettare adeguatamente a dieci o quindici anni.
L’inefficienza della Pa genera sfiducia nei/nelle cittadini/e. Quando Brunetta, allora ministro del ramo, dichiarò che voleva mettere i bottoni verde, giallo e rosso vicino agli sportelli pubblici affinché i/le cittadini/e potessero dichiarare la loro soddisfazione, fu preso a pietrate e dovette ritirare la sua proposta. Come può funzionare un sistema pubblico se non è basato sul livello di gradimento dei/delle propri/e clienti?
Nelle regioni del Nord Italia, in Svizzera, in Germania e in altri Paesi d’Europa vi è un esempio di buon funzionamento dei servizi pubblici sotto tutti i punti di vista. Forse bisognerebbe ricorrere al paradosso di portare in Italia qualche migliaio di dirigenti svizzeri o tedeschi e vedere “l’effetto che fa”.
Ma la provocazione è fine a sé stessa perché siamo ben consapevoli che le cose non cambieranno poiché “il pesce puzza dalla testa”.

