Si scontano numerose difficoltà tanto a livello centrale quanto su una dimensione più locale. Ecco perché rispettare i tempi voluti dall’Ue sarà davvero un’impresa
ROMA – Quella che attende il nostro Paese da qui al 2026 si preannuncia come una vera e propria corsa contro il tempo per non perdere il “treno Pnrr”. Il piano di aiuti europeo, nato per “tirare fuori” il Vecchio Continente dalle sabbie mobili della crisi pandemica e per costruirne il prossimo futuro, impone una serie di obblighi inderogabili per i 27 Stati membri: riforme da attuare, scadenze da rispettare, investimenti da portare a compimento.
La situazione italiana, come abbiamo ribadito più volte dalle colonne del nostro quotidiano e come hanno confermato alti rappresentanti istituzionali quali il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il ministro Raffaele Fitto, non è certo delle migliori. Si scontano diversi ritardi, tanto a livello centrale quanto a livello locale, che rischiano di causare una drammatica impasse e – soprattutto – la chiusura dei rubinetti da parte di Bruxelles che, come noto, potrebbe non erogare le ulteriori tranche di aiuti.
Termine ultimo imposto dalle direttive continentali è, appunto, il 2026. Ma il percorso è scandito da varie “tappe trimestrali” a cui corrispondono altrettante scadenze, alcune predisposte dalla Ue, altre dal Governo italiano. La più vicina quella del 30 giugno di quest’anno, rispetto cui il nostro Paese potrebbe arrivare con il “fiatone”. Una constatazione che nasce dall’analisi dei dati relativi allo stato di avanzamento di progetti, missioni, riforme e via discorrendo reso noto dal portale governativo Italia Domani (quello cioè dedicato al Pnrr) ad aprile. Questi dati, relativi al mese di marzo, sono stati elaborati e contestualizzati dalla fondazione Openpolis (nata nel 2006 sviluppando strumenti e piattaforme online per favorire l’accesso alle informazioni pubbliche, cui sono seguiti Openpolitici, Openparlamento, Openmunicipio e Openbilanci) e offrono un quadro abbastanza chiaro della situazione.
Le informazioni fornite riguardano la natura degli interventi, la loro localizzazione fino a livello comunale, gli importi assegnati e i soggetti attuatori. È la prima volta dall’avvio del piano che il Governo rende disponibili tali dati, ma come evidenzia la stessa fondazione permangono diverse criticità. “Le basi dati pubblicate infatti – scrive Openpolis – non forniscono nessuna informazione sullo stato di avanzamento dei singoli progetti. Sia in termini di realizzazione dei lavori che di risorse spese. Si tratta di una carenza non di poco conto, anche alla luce delle enormi difficoltà che il nostro Paese sta incontrando nella messa a terra degli investimenti. Inoltre non è chiaro con quale periodicità i dataset verranno aggiornati”.
A ogni modo, spulciando le informazioni disponibili, qualche considerazione può essere fatta. Tanto in relazione alla distribuzione delle risorse, al numero di progetti approvati e/o avviati, allo stato di avanzamento rispetto alla scadenza di giugno. Abbiamo scelto di analizzare, a livello generale, la situazione dell’Italia e, più, nel dettaglio quella della Sicilia e di altre due regioni, paragonabili per numero di abitanti ed estensione territoriale all’Isola, e che quindi spesso prese come esempio, anche quali modelli di riferimento: Emilia Romagna e Veneto.
La situazione in Italia
L’Italia, attualmente, ha in essere 138.640 progetti per un importo di 121 miliardi sui 191 complessivamente disponibili. Altro dato interessante quello relativo agli obiettivi da perseguire entro il 30 giugno, relativamente alle “macrocategorie” di investimenti e riforme. Nel primo caso, sulla base delle stime fatte da Openpolis, la nostra nazione si attesta al 69,16% a fronte del 78,55% da raggiungere entro la già citata scadenza. Nel secondo caso, invece, la percentuale raggiunta è pari al 29,59% e quella da raggiungere corrisponde al 43,76%. La situazione effettiva, in entrambi i casi, dovrebbe essere adesso leggermente migliorata ma – probabilmente – permane ancora un po’ di ritardo rispetto alla tabella di marcia. Da tenere d’occhio anche le 15 scadenze previste quali tappe intermedie di monitoraggio, sempre entro il 30 giugno, dall’Europa. Di queste, tre sono definite dal portale “a buon punto”, le restanti dodici ancora in corso. Nella seconda categoria rientrano, per esempio, l’entrata in vigore della riforma del processo civile e penale o quella degli atti giuridici per la riforma del pubblico impiego.
…e quella in Sicilia
Venendo, adesso, alla situazione siciliana vediamo anzitutto il numero totale dei progetti, le risorse associate e la loro ripartizione rispetto alle diverse aree di intervento. Ad oggi l’Isola punta a realizzare 9.841 progetti, sostenuti da risorse per un totale di 12, 9 miliardi così ripartiti tra le varie missioni del piano: digitalizzazione (575,4 mln); scuola, università e ricerca (1,4 mld); impresa e lavoro (297 mln); cultura e turismo (54,3 mln); inclusione sociale (728,1 mln); infrastrutture (8,4 mld); transizione ecologica (846,1 mln). Ad una prima analisi, pur considerando dei parametri di ripartizione nazionali, stupisce il fatto che a cultura e turismo sia stata riservata la fetta più piccola di risorse. Un paradosso se si considera la vocazione del nostro territorio e il fatto che, proprio le realtà operanti in questi settori, figurino tra quelle più colpite in era Covid e post Covid. Peraltro, come abbiamo raccontato in diverse inchieste, la Sicilia non riesce a sfruttare come potrebbe questa vocazione naturale, a dispetto di campagne faraoniche e annunci trionfalistici.
Una considerazione che si rafforza proprio nel paragone con Emilia Romagna e Veneto, regioni che inoltre possono essere considerate come “competitor” dell’Isola in questo settore. La prima, infatti, ha destinato praticamente la stessa cifra, ovvero 52,4 milioni, a fronte di 6,6 miliardi di risorse complessive. La seconda, invece, che può contare su un budget di poco superiore (13 miliardi), ha destinato a questa voce 83,6 miliardi. Quello che abbiamo appena analizzato è, ovviamente, solo un aspetto dell’intera questione Pnrr, che però evidenzia altre criticità rispetto a quelle che abbiamo evidenziato in questi mesi. Non solo difficoltà legate alla capacità di presentare e portare avanti validi progetti che viene limitata – come dichiarato al QdS dal presidente di Anci Sicilia Paolo Amenta – dalla “carenza di personale e di risorse umane” nei Comuni, ma anche valutazioni rivedibili nelle fasi preliminari.
Analizzando ancora i freddi numeri possiamo soffermarci sulla voce “impresa e lavoro”, cui la Sicilia ha destinato 297 milioni a fronte dei 193 dell’Emilia-Romagna: anche in questo caso la differenza in termini di incidenza percentuale è lapalissiana. Per completare il quadro e il raffronto tra la nostra regione e le due già menzionate, vale la pena citare il numero di progetti in itinere. Il Veneto ne ha 10.264, l’Emilia-Romagna 8.519: cifre che testimoniano, probabilmente, strategie diverse frutto delle specifiche caratteristiche sociali ed economiche dei vari territori. Tuttavia, come detto in apertura, il quadro generale non è dei più rosei, anche in regioni – quali quelle appena menzionate – considerate per vari motivi esempi virtuosi. Certo, il quadro non è lo stesso ovunque, ma il senso della nostra analisi è quello di una generale difficoltà da Nord a Sud nell’attuazione del Pnrr. Analisi che, lo ribadiamo, è comunque legata anche alla scarsa trasparenza dei dati forniti ma che può, ugualmente fornire vari spunti di riflessione.
Perplessità confermate anche dalla “bufera” che, in queste ore, ha visto protagonista Raffaele Fitto, ministro per gli Affari europei, le Politiche di coesione e il Pnrr. Secondo quanto riferito dal quotidiano “La Stampa” il ministro, nel corso di un colloquio, avrebbe ammesso il ritardo e l’impreparazione del nostro Paese: “Il Pnrr va smantellato e profondamente cambiato anche negli obiettivi. Altrimenti rischiamo di farci male”, molto male, o ancora “gran parte del Pnrr non è spendibile. Quindi stiamo immaginando cambiamenti importanti”. Concetti seccamente smentiti, poi, dallo stesso Fitto: “Sul quotidiano vengono riportate frasi e sintesi mai pronunciate”. La verità, probabilmente, sta nel mezzo ma anche questa vicenda è indice del difficile momento vissuto dall’Italia in tema Pnrr.
Tornando alle scadenze europee al prossimo 30 giugno Sicilia, Veneto ed Emilia Romagna sembrano essere “alla pari”. Nell’Isola l’obiettivo da raggiungere è l’aggiudicazione di (tutti gli) appalti pubblici per il rinnovo del parco ferroviario per il trasporto pubblico regionale con treni a combustibili puliti e servizio universale. Gli ultimi aggiornamenti disponibili non sono incoraggianti, dato che al 6 aprile scorso la metà dei progetti doveva ancora essere aggiudicata. Le due regioni settentrionali condividono, insieme ad altre limitrofe, la stessa scadenza nel secondo trimestre del 2023. Si tratta, nello specifico, della “Revisione del quadro giuridico per gli interventi di rinaturazione dell’area del Po”. L’ultimo risultato conseguito, secondo il monitoraggio di Openpolis sulla base dei dati di ItaliaDomani, risale addirittura al 28 febbraio quando venne approvato il programma d’azione e firmata la convenzione tra ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica ed Aipo (Agenzia interregionale per il fiume Po). Tra rischi e criticità evidenziate dalla fondazione “ritardi nelle procedure di autorizzazione, pianificazione ed espropri”. Un tema rilevante questo, come drammaticamente evidenziato dalla cronaca di questi giorni. Chiaramente non vogliamo speculare su simili tragedie, né costruire becere polemiche fine a sé stesse. Ci limitiamo, però, a evidenziare che anche un’opportunità straordinaria come il Pnrr, deve fare i conti con gli atavici mali italiani.
Riportando il focus sul tema principale della nostra analisi ciò che emerge dalla lettura dei numeri è, lo ribadiamo ancora una volta, il ritardo generale che sconta il sistema Italia. E mai come in questo caso mal comune non è mezzo gaudio, perché “si vince o si perde tutti insieme” e perché la sfida Pnrr va vinta da Nord a Sud. Certo, che il piano di aiuti europei possa risolvere di punto in bianco i problemi decennali del nostro Paese è pura illusione. Ciò non toglie che si può e si deve fare di più, a ogni latitudine. Chi di dovere, quindi, agisca subito e senza esitazioni. Il tempo stringe e non possiamo permetterci di fallire. Un monito che, di recente, ha voluto lanciare anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, dicendo che sull’atttuazione del Pnrr “è arrivato il momento di mettersi alla stanga”. Una citazione di Alcide De Gasperi, pronunciata nel secondo dopoguerra su questioni prettamente politiche. Tuttavia, come ha sottolineato lo stesso Mattarella, a legare questo e quel periodo è la necessità di ripartire tutti insieme.