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Poche nascite in Italia ed è sex recession. Pira (UniMe): “Insicurezza dei giovani alimentata dalla società”

Poche nascite in Italia ed è sex recession. Pira (UniMe): “Insicurezza dei giovani alimentata dalla società”
Foto di repertorio, di Aditya Romansa su Unsplash

In Sicilia il calo delle nascite è strutturale. L’Isola vive da anni una lenta erosione demografica, frutto non solo della bassa natalità ma anche della continua fuga di giovani verso il Nord Italia e l’estero

In Italia si continuano a fare pochi figli. Si tratta di un processo che si è consolidato nel corso degli anni e che oggi tocca dimensioni che fino al 2010 sarebbero sembrate impossibili da raggiungere. Ad accertarlo è l’Istat, che certifica i 369.944 nati del 2024. Quasi 10 mila in meno rispetto al 2023 (-2,6%). E fino al 31 luglio scorso, i nati per il 2025 risultavano appena 197.956 nuovi, circa 13 mila in meno rispetto allo stesso periodo del 2024 -6,3%.

Il dato che più impressiona è il crollo della fecondità. Nel 2024 il numero medio di figli per donna si ferma a 1,18: un minimo storico. Nel 2025, secondo le stime dei primi sette mesi, si scende a 1,13. Per mantenere stabile la popolazione servirebbero 2,1 figli per donna: utopia.

Questo perché la curva che va dal 2008 al 2024 racconta la storia di un declino continuo. Nel 2008 i nati vivi furono oltre 576 mila: il picco degli anni Duemila. Da allora il Paese ha perso quasi 207 mila nascite. Una contrazione del 35,8 percento.

Il tasso di natalità è passato da 9,7 nati per mille residenti nel 2008 a 6,3 nel 2024. Una discesa lenta ma costante, che fotografa un’Italia che non riesce più a trasformare i progetti di famiglia in figli reali. Il fenomeno non dipende solo dalla scelta di avere meno figli. C’è un altro lato, meno discusso ma decisivo. I potenziali genitori sono sempre meno.

A rallentare è l’intero ciclo riproduttivo delle famiglie. Il tempo di formazione (scolastica, professionale e familiare) si allunga, così come anche la dipendenza economica dalla famiglia di origine. Il lavoro giovanile resta caratterizzato da precarietà strutturale e l’accesso alla casa si fa sempre più complesso a causa dei tassi sui mutui e dell’instabilità dei (sempre meno) giovani che trovano occupazioni precarie.

E con sempre meno opportunità di tramutare quei contratti in tempi indeterminati, se non passando attraverso le porte della pubblica amministrazione. Il resto è sfruttamento regolarizzato con co.co.co e false partite iva. Tutti elementi che spingono le coppie a rimandare la decisione di diventare genitori o addirittura a rinunciare a un futuro. A invertire il trend ci pensano le coppie straniere residenti in Italia.

Famiglie italiane in ritirata. Le coppie straniere frenano la caduta ma non la invertono

La diminuzione dei nati è imputabile quasi interamente alle coppie italiane. Nel 2024 i nati da genitori entrambi italiani sono 289.183, in calo di 9.765 unità rispetto al 2023. Una riduzione del 3,3 percento. Rappresentano oltre i tre quarti delle nascite complessive, dunque la loro flessione pesa in modo decisivo sulla dinamica demografica nazionale.

La componente straniera si mantiene invece stabile. Nel 2024 le nascite da coppie con almeno un partner straniero sono 80.761, solo lo 0,2 percento in meno rispetto all’anno precedente. I nati da genitori entrambi stranieri scendono dell’1,7 percento, mentre quelli delle coppie miste crescono del 2,3 percento.

Il contributo dei flussi migratori, pur significativo, non basta però a compensare il crollo della componente italiana. Anche perché la distribuzione territoriale degli stranieri è disomogenea. La loro incidenza è molto più alta nel Nord, dove rappresentano il 30,6 percento dei nati, e nel Centro, dove arrivano al 24 percento. Nel Mezzogiorno si scende a una quota del 9,3 percento. Troppo poco per bilanciare la perdita di natalità delle coppie italiane.

La Sicilia dentro il fenomeno. Una fotografia in chiaroscuro

In Sicilia il calo delle nascite è strutturale. L’Isola vive da anni una lenta erosione demografica, frutto non solo della bassa natalità ma anche della continua fuga di giovani verso il Nord Italia e l’estero. La dinamica osservata a livello nazionale è amplificata in un contesto dove il mercato del lavoro resta fragile, il reddito medio tra i più bassi d’Italia e l’assenza infrastrutturale (di asili nido in questo caso, ndr) cronica.

Un incremento sostanziale della disponibilità di servizi per la prima infanzia ha un effetto positivo e statisticamente significativo sull’andamento delle nascite, confermando l’ipotesi che una decisa espansione dell’offerta permetta di rimuovere uno degli ostacoli alla realizzazione dei progetti riproduttivi delle coppie, contribuendo così a contrastare il calo delle nascite.

A rivelarlo è stata sempre l’Istat nel volume “L’impatto dell’espansione dei servizi educativi per la prima infanzia sull’andamento della natalità in Italia”, pubblicato lo scorso ottobre. In questo panorama, come se la cava la Sicilia? Quali sono i numeri della Regione?

Tra deficit di strutture pubbliche nei grandi centri, chiusura delle sedi più distaccate e calo demografico, sempre secondo l’Istituto la Sicilia potrebbe avere meno di 4 milioni di abitanti nel 2050, con un calo significativo dalle attuali 4,9 milioni, riflettendo un trend di spopolamento e invecchiamento demografico.

Capire la denatalità siciliana significa leggere tre fenomeni che si intrecciano. Il primo è la precarietà del lavoro. Nell’Isola la quota di giovani con contratti stabili è tra le più basse d’Italia. Molti lavorano in settori stagionali. L’incertezza economica frena i progetti di famiglia. Le coppie siciliane non si differenziano da quelle del resto del Paese, ma il contesto rende più difficile compiere il passo verso la genitorialità.

Il secondo elemento è il nodo casa. Il mercato immobiliare siciliano è meno costoso rispetto al Nord, ma l’accesso resta complicato per chi ha redditi bassi o instabili. Il terzo fenomeno è l’emigrazione. Ogni anno l’Isola perde migliaia di giovani qualificati che scelgono di trasferirsi altrove. In questo quadro si innestano poi le nuove generazioni.

Sexting, quando il sesso è migliore dietro uno smartphone

I disagi che incontrano a livello lavorativo e professionale sono rintracciabili a pieno dentro la recessione sessuale che influenza la cosiddetta Gen Z, la generazione delle persone nate indicativamente tra la seconda metà degli anni ’90 e la prima metà degli anni 2010. Nativi digitali, abili nel multitasking e nella creazione di contenuti online, impegnati su temi sociali come sostenibilità ambientale, diritti umani e uguaglianza di genere.​

Cresciuti in un contesto di rivoluzione tecnologica, con enfasi su personalizzazione, feedback rapido e indipendenza rispetto alle generazioni precedenti., la Gen Z, entro il 2025, rappresenterà circa il 27% della forza lavoro globale. Eppure, è la stessa generazione che preferisce il sesso dietro a uno smartphone rispetto a quello reale.

A certificare “sex recession” è stata la psicologia internazionale: giovani che fanno meno sesso, iniziano più tardi, vivono relazioni rarefatte, più narrate e meno praticate. Una recessione non solo quantitativa, ma affettiva, corporea, identitaria. Molto più fluida. Che preferisce esporsi – spesso senza freni – sui social, nascondendo invece nella realtà. Un fenomeno spiegabile – tra gli altri – con la paura dell’insuccesso e del rifiuto.

Pira (Unime): “Lo schermo come scudo: così la Gen Z si difende dal proprio corpo”

Per Francesco Pira, professore associato di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Messina, la cosiddetta “sex recession” nasce da una fragilità profonda, più che da disinteresse verso la sessualità.

“Ai giovani manca sicuramente il modo di relazionarsi: questo ha generato forme di insicurezza, fragilità e isolamento. Il fatto di non accettare più il proprio corpo ha creato profonde insicurezze rispetto al porgersi fisicamente a un’altra persona. Viviamo immersi nei social, circondati da corpi perfetti, come non diventare insicuri?”

Instagram detta i canoni. TikTok amplifica l’ossessione. La nudità digitale diventa un filtro: ciò che è mediato è più gestibile dell’imperfezione reale. Da qui, la preferenza crescente per la sessualità mediata. “Molti ragazzi dichiarano di preferire fare sesso virtuale rispetto a quello reale. Lo schermo diventa qualcosa di protettivo rispetto all’esporre il proprio corpo per la prima volta, con le ansie che questo comporta”.

Il corpo diventa un confronto. Non più un linguaggio. Un meccanismo nuovo solo in apparenza: “Tutto quell’esibizionismo evidenzia tanta insicurezza. Io la chiamerei fragilità”. Per il docente, la recessione sessuale non va letta come causa diretta del crollo della natalità.

“Io lo collego poco dal punto di vista dell’impatto sociale con il fatto che non si fanno figli: i figli non si fanno perché c’è una grandissima difficoltà a mettere su famiglia, tra stipendi precari e scarse agevolazioni”.

In Sicilia il ruolo dei nonni resta ancora decisivo: “Ci sono contesti dove i nonni si sostituiscono ai genitori e aiutano materialmente, economicamente e fisicamente. Dove non ci sono queste “infrastrutture”, la scelta diventa quasi impossibile, al di là della sessualità dei giovani”.

Uno scenario aggravato dal ritardo nell’ingresso nel mondo del lavoro: “Oggi i ragazzi si sistemano più tardi, trovano lavoro più tardi, arrivano a 37 o 40 anni appena stabilizzati e vivendo a casa dei genitori, nelle seconde case di famiglia o in quelle dei nonni”.

La sfida, per Pira, è politica prima che culturale: “Si riesce a invertire la tendenza solo se le istituzioni garantiscono servizi: casa, asili nido, scuole dell’infanzia, sistemi di supporto. Diversamente, è difficilissimo”.

E mette in guardia: “Questa è una generazione che ha comprensibilmente paura del futuro. Se non avessimo persone che vengono da altri luoghi e decidono di fare figli, i numeri delle nascite sarebbero ancora più bassi”.

La sex recession resta un segnale ma non la causa, secondo il presidente della branch comunicazione media e informazione di Confassociazioni: “Non trovo collegamenti tra le due cose: sono linguaggi e codici nuovi, incomprensibili per noi ma funzionali per le nuove generazioni”.

Il cuore della recessione sessuale appartiene alla paura dell’esposizione emotiva e fisica. La recessione sessuale non è quindi una rinuncia, ma un sintomo collettivo: qualcosa che restituisce la fragilità di una generazione cresciuta nella competizione, nell’ipercontrollo e nell’incertezza.

Tra chat infinite, videochiamate quotidiane, scambi costanti. E poi, al momento di concludere, qualcosa si inceppa. In questo frame, le piattaforme diventano rifugio: un luogo dove si può stare “insieme” senza correre il rischio dell’intimità reale. Il risultato è una generazione che si sente sola dentro un flusso di messaggi ininterrotto. Una solitudine connessa, appunto. Non manca il desiderio: manca il coraggio di rischiare. E come poter biasimare?

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