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Pochi bambini, troppi emigrati e tanti anziani: la Sicilia viaggia verso il deserto demografico

Pochi bambini, troppi emigrati e tanti anziani: la Sicilia viaggia verso il deserto demografico

Istat: in un anno persi quasi diecimila residenti. Crescono soltanto gli stranieri, ma da soli non bastano

PALERMO – La Sicilia si svuota sempre di più. In modo desolante, progressivo, preoccupante. Meno figli, più anziani e anche più emigrazione. I giovani in cerca di un’istruzione, gli uomini e le donne in cerca di un lavoro. O semplicemente c’è anche chi lascia nella speranza di trovare servizi migliori, una città a loro misura, che dia la possibilità di non lottare ogni giorno tra il caos del traffico, i disservizi, la burocrazia della Pubblica amministrazione o anche con le eterne contraddizioni dell’Isola, come per esempio la sanità che arranca.

Dati Istat 2024: la Sicilia tra le regioni più fragili

Da questo contesto viene fuori un quadro desolante tracciato dall’Istat nel suo ultimo report sulla crescita (ma si fa solo per dire) demografica: al 31 dicembre 2024 la Sicilia si conferma una delle regioni demograficamente più fragili d’Italia. La popolazione residente scende a 4.787.390 abitanti, con una perdita netta di 9.969 residenti in un solo anno. La variazione è negativa per 2,8 per mille, valore che colloca l’Isola in piena controtendenza rispetto al Nord-Ovest (+1,4 per mille) e al Nord-Est (+1,2 per mille), aree che continuano invece ad attrarre popolazione.

Crollo delle nascite e saldo naturale negativo

Il quadro peggiora se si osserva la dinamica naturale. Nella ripartizione delle Isole, quindi Sicilia e Sardegna, nel 2024 si registrano appena 40.712 nati vivi, a fronte di 71.269 decessi. Il risultato è un saldo naturale negativo di -30.557 unità, uno dei più pesanti a livello nazionale. Il rapporto tra nascite e morti evidenzia una crisi strutturale della fecondità che riduce progressivamente la base demografica e accelera l’invecchiamento della popolazione.

Migrazioni interne: giovani e forza lavoro lasciano l’Isola

Accanto al saldo naturale, pesano in modo decisivo le migrazioni interne. Le Isole registrano un saldo negativo di -13.142 persone, determinato da 124.218 cancellazioni anagrafiche verso altri Comuni italiani, compensate solo in parte da 111.076 iscrizioni. Si tratta di un flusso che colpisce soprattutto giovani e popolazione in età lavorativa, impoverendo il capitale umano regionale.

Popolazione straniera in aumento: l’unico segnale positivo

L’unico segnale positivo arriva dalla popolazione straniera, in aumento di 9.834 unità raggiungendo quota 206.753 persone. L’incremento relativo è pari a +49,9 per mille, il più elevato tra le grandi regioni italiane. Il confronto è netto: la Campania si ferma a +48,7 per mille, mentre la Lombardia registra una crescita molto più contenuta (+15,3 per mille). Emblematico il caso di Isnello, in provincia di Palermo, che fa segnare il record nazionale per incremento relativo di residenti stranieri: +772,7 ogni 100 abitanti rispetto al 2023. Un dato eccezionale che fotografa il ruolo di alcuni piccoli comuni come nuovi poli di attrazione migratoria.

Lavoro, economia e capitale umano: tre criticità strutturali

Dal punto di vista del mercato del lavoro e della struttura economica, i numeri delineano tre criticità principali. Primo, l’invecchiamento strutturale: con un indice di vecchiaia nazionale pari al 208% (208 anziani ogni 100 giovani), la Sicilia si inserisce pienamente in una dinamica che riduce forza lavoro potenziale e domanda interna. Secondo, una sostituzione demografica solo parziale. L’aumento degli stranieri, pur rilevante in termini percentuali, non compensa né il saldo naturale negativo né l’emigrazione interna. Inoltre, questi flussi si concentrano soprattutto in settori a bassa specializzazione – agricoltura, edilizia, assistenza alla persona – che non riescono a trainare crescita e produttività. Terzo, la fuga di capitale umano. Il saldo migratorio interno negativo delle Isole (–13.142) si contrappone al dato positivo del Nord-Ovest (+23.885), segnalando un continuo trasferimento di competenze e professionalità verso le aree economicamente più dinamiche del Paese.

Il divario territoriale tra Nord e Sud

Il divario territoriale appare dunque evidente. Nel 2024 la Lombardia guadagna 21.864 residenti, mentre la Sicilia ne perde quasi 10.000. L’Emilia-Romagna cresce di 10.060 unità, ribaltando specularmente il dato siciliano. In termini relativi, solo la Basilicata registra una contrazione peggiore (–6,1‰), seguita da Molise e Valle d’Aosta.

Età media e invecchiamento della popolazione

Sul fronte dell’età media, la Campania resta la regione più giovane con 44,5 anni, mentre la Liguria tocca il record nazionale di anzianità con 49,6 anni. La Sicilia si colloca in una posizione intermedia, ma pienamente inserita nel trend di progressivo invecchiamento.

Sicilia verso il deserto demografico

In sintesi, l’Isola del 2024 è una regione che perde popolazione, giovani e forza lavoro, mentre cresce grazie a nuovi flussi migratori che, da soli, non riescono però a invertire la rotta. I numeri raccontano quindi un paradosso che ha effetti diretti e devastanti su economia, welfare e sviluppo futuro dell’Isola, che sembra sempre più diretta verso un drammatico deserto demografico.

Pochi bambini, troppi emigrati e tanti anziani: la Sicilia viaggia verso il deserto demografico

Giannola (Svimez): “La crescita del Nord un’illusione destinata a svanire”

PALERMO – Da anni la Sicilia perde abitanti, soprattutto giovani, istruiti, destinati a non tornare. I numeri più recenti confermano una tendenza che non è più emergenza, ma condizione strutturale: lo svuotamento demografico dell’Isola si intreccia con quello del Mezzogiorno e, sempre più, dell’intero Paese. In questa intervista Adriano Giannola, presidente della Svimez – l’Associazione per lo Sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, che da oltre settant’anni analizza e interpreta i divari economici, sociali e territoriali italiani – offre una lettura che va oltre il dato statistico. Il suo sguardo mette in relazione emigrazione giovanile, impoverimento del capitale umano, illusioni di tenuta del Centro-Nord e il ruolo ambiguo dell’immigrazione straniera, mostrando come la crisi demografica sia il riflesso di un modello di sviluppo ormai esausto. La Sicilia diventa così un laboratorio estremo di processi che minacciano la coesione nazionale: meno nascite, meno lavoro qualificato, territori che invecchiano e si marginalizzano. Sullo sfondo, il fallimento di politiche pubbliche – compreso il Pnrr – incapaci di invertire la rotta. Ne emerge un quadro severo ma coerente: senza una visione e senza scelte strutturali, il rischio non è solo lo spopolamento del Sud, ma una lenta deriva dell’Italia intera.

La Sicilia nel 2024 ha perso quasi altri diecimila residenti. Un trend desolante che si trascina da anni e che vede l’Isola sempre più svuotarsi. In che direzione sta andando questa regione in termini demografici e cosa rischia nel breve e medio termine?
“Partiamo dall’emblematico dato dei quasi 10.000 residenti persi dalla Sicilia nel 2024. Certamente per lo più giovani sotto i 35 anni e magari laureati. Va detto che ‘questi’ giovani in genere appartengono a famiglie che consentono loro di partire mettendo in conto il ‘lusso di potersi impoverire’ per sostenere il giovane che parte, in molti casi per frequentare una triennale in qualche Ateneo centro-settentrionale. Questo capitale umano esportato difficilmente farà ritorno a casa e, per non poco tempo, sarà supportato da vere e proprie ‘rimesse per gli emigrati’. Un fenomeno che ha ormai soppiantato il flusso, in entrata, delle ‘rimesse degli emigrati’. Quanto al Centro-Nord, apparentemente non patisce alcun danno, al contrario beneficia di questo tsunami demografico. Ma è una illusione dal fiato corto, perché già ora anche molti ‘suoi’ giovani scelgono l’espatrio: una perdita finora ampiamente compensata proprio da quei ragazzi meridionali ‘che si possono permettere’ il lusso di emigrare”.

E meno male che si registra un numero sempre più crescente di stranieri che si stabilizzano in Sicilia. Anche questo dato, in che modo può essere letto?
“Si può dire che il persistere della crescita demografica del Nord, di cui giustamente avete preso nota, oggi è un’illusione destinata a svanire perché sempre necessita di essere alimentata dagli esodi di giovani meridionali più che da saldi positivi delle nascite settentrionali. Le pessime notizie fornite dall’ Istat, anche per il Nord, con le previsioni al 2065 potrebbero quindi essere smentite non endogenamente ma dall’apporto dei tanto indesiderati immigrati, per la massima parte africani, che, tra l’altro, non ambiscono certo a insediarsi nel Mezzogiorno. Come noto, la meccanica della demografia è inesorabilmente prevedibile e modificabile solo a condizione di forti mutamenti socio-economici, ambientali e strutturali”.

Per i giovani che restano in Sicilia, e in generale al Sud, che prospettive ci sono? Si possono definire dei resilienti?
“Essi sono di fatto segregati in quella che la Ue da anni, e riferendosi via via ormai a tutta l’Italia, etichetta come la ‘trappola dello sviluppo’ con bassa produttività, lavoro povero e disoccupazione, in cui è progressivamente prigioniero il Mezzogiorno e, gradualmente ma rapidamente, tende a cadere il Paese. Un fenomeno già evidente nel 2011, quando la Svimez denunciò lo tsunami demografico che annunciava la scomparsa della ‘Questione Meridionale’ non perché risolta bensì per eutanasia, per estinzione del Mezzogiorno”.

Uno dei compiti del Pnrr doveva essere proprio quello di fermare l’emorragia di emigrazione e svuotamento della Sicilia. Mi pare che i numeri stiano mettendo in risalto che questo obiettivo non è stato raggiunto…
“Questo era, tra i tanti, un compito, anzi il compito, che l’Ue ci chiedeva di assolvere con i quasi 200 miliardi messi in campo con il suo intervento straordinario per il salvataggio dell’Italia, grande malato d’ Europa. Nelle sue condizionalità si chiedeva di porre rimedio alla desolante esperienza dei crescenti divari Nord-Sud iniziata nel 1993. Alla luce dei risibili tassi di crescita registrati dal 2021, sia al Nord che al Sud, e della monotona persistenza dei grandi problemi nazionali, non penso si possa sostenere che la nostra gestione e regia del Pnrr abbia brillato per efficacia e, soprattutto, sia stata guidata e illuminata da idee forti e progettuali. Si è ripiegato, a ben vedere, su una più o meno retorica enorme manutenzione di un modello esausto da anni. Fin dal suo avvio, il Pnrr non è riuscito a frenare, se non a invertire, la deriva-Paese, il quale, anzi sempre più, risponde al noto dilemma Exit and voice and loyalty di Hirschman, confermando che la scelta, ma solo di chi può permetterselo, continua a essere quella dell’exit. Non a caso l’ultimo rapporto Svimez del novembre scorso, a un anno dalla scadenza del Pnrr, nel suo incipit propone una versione ancora più esplicita e amara del motto hirschmaniano, evocando il conflitto: free to move, right to stayed illustrando ampiamente quanto l’exit sia vincente. A suggerire i motivi del fallimento annunciato mi sembra sia utilissimo guardare e fare appello alla Loyalty hirschmaniana: ingrediente decisivo nel determinare l’esito della scelta. Nel nostro caso, l’ Italia, è fuor di dubbio che questo ingrediente è a dir poco carente: un ingrediente istituzionale, in sintesi la politica, capace di elaborare e proporre la visione, una degna stella polare che indichi credibilmente obiettivi e la rotta per realizzarli”.