C’è chi grida allo scandalo per i 13,5 miliardi del Ponte sullo Stretto di Messina, ma tace davanti ai 40 miliardi complessivi che il Nord Italia sta investendo in grandi opere pubbliche. Da anni, ogni volta che si parla di collegare Sicilia e Calabria, si levano voci contrarie: “Servono prima strade, scuole, ospedali”. Eppure, quando si finanziano infrastrutture analoghe al Nord, spesso con costi simili o persino superiori, nessuno trova da ridire.
I miliardi del Nord che non fanno scandalo
Basta guardare i numeri. La TAV Torino-Lione – 270 chilometri di linea ferrovia per merci e passeggeri tra Italia e Francia – costa 11,1 miliardi di euro solo per il tunnel di base. La fine dei lavori è prevista per il 2033, ma i tempi di consegna potrebbero dilatarsi. La Galleria del Brennero, che collegherà Fortezza a Innsbruck, vale 10,5 miliardi e sarà il tunnel ferroviario più lungo del mondo. Infrastruttura che sarà completata nel 2032. Il Terzo Valico dei Giovi, asse strategico tra Genova e la Pianura Padana, sfiora 10,6 miliardi e la fine dei lavori è attesa (forse) nel 2028. Il MOSE di Venezia, già operativo dal 2020, è costato 6 miliardi e richiede 200 mila euro per ogni alzata.
Totale: decine di miliardi spesi senza che si sia mai sollevata un’ondata di mobilitazioni di rilievo, se non le proteste del movimento No TAV.
Al Sud, il cantiere che non parte mai
Sul Ponte invece le polemiche non si contano. C’è chi parla di “opera inutile”, chi la definisce “un sogno faraonico”, chi si rifugia nel solito ritornello: “Ci sono altre priorità”. Ma proprio le regioni del Mezzogiorno pagano il prezzo più alto del deficit infrastrutturale. E senza collegamenti moderni, competitivi e veloci, parlare di sviluppo resta solo un esercizio retorico.
Un Paese a due velocità
Il paradosso è evidente: mentre il Nord costruisce e innova, il Sud resta bloccato nella palude dell’immobilismo. Le grandi opere – dal Ponte sullo Stretto ai corridoi ferroviari europei – non sono simboli di spreco, ma leve di sviluppo e coesione territoriale. Continuare a bloccarle significa condannare la Sicilia e l’intero Mezzogiorno a restare periferia economica, tagliata fuori dai grandi flussi di merci e persone.

