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“La Porsche crivellata davanti alla discoteca”, il pentito Cerbo racconta l’intimidazione subita dal boss Mazzei

“La Porsche crivellata davanti alla discoteca”, il pentito Cerbo racconta l’intimidazione subita dal boss Mazzei
Palazzo di giustizia di Milano Foto Imagoeconomica

L’intimidazione pubblica aveva fatto andare su tutte le furie il capo clan. Stando alla versione di Cerbo, nei giorni successivi sarebbero stati contattati i referenti delle cosche presenti in città

“Cerbo, in base a quello che mi dice, lei oggi sceglierà se stare da questo lato o dall’altro”. Primavera del 2013, William Cerbo ha poco più di trent’anni e per i giornali non è ancora Scarface. Lo diverrà l’anno successivo, quando un’inchiesta della procura di Catania svelerà i suoi legami con il clan Mazzei e la passione per Tony Montana, il protagonista del film di Brian De Palma.

La mattina in cui risponde alla convocazione in questura, è ancora uno “pulito”. Almeno formalmente. A farglielo presente è l’agente che lo accoglie in via Ventimiglia: dal terminale a disposizione delle forze dell’ordine non risulta avere precedenti. 

Su Cerbo, però, sospetti ce ne sono già un bel po’. L’ultimo risale alla notte precedente: intorno alla mezzanotte qualcuno ha crivellato di colpi la sua auto, davanti a una delle più note discoteche di Catania. Una di quelle in cui l’allora 31enne aveva deciso di puntare.

Un investimento che era scaturito dalla voglia di diversificare gli affari: come raccontato ai magistrati nelle scorse settimane, dopo avere deciso di diventare un collaboratore di giustizia, Cerbo già da fine anni Duemila si era specializzato in truffe e fallimenti pilotati in giro per l’Italia. Talento su cui aveva finito per posare gli occhi anche Cosa Nostra.

Non è un caso, d’altra parte, se poco prima di diventare bersaglio dei proiettili, sull’auto insieme a lui c’era anche il boss Nuccio Mazzei.

Il rispetto del boss

Da fine settembre, Cerbo sta riempiendo verbali. A interrogarlo è la Direzione distrettuale antimafia di Milano, che ha in mano l’inchiestagià a processosugli interessi convergenti di mafia, camorra e ‘ndrangheta nella città meneghina.

Ambienti che il 43enne ha conosciuto nel lungo periodo in cui ha fatto da collettore economico deli Mazzei. Cerbo ha raccontato di avere beneficiato prima della protezione – derivante da un fidanzamento da adolescente con una nipote – di Angelo Privitera, detto Scirocco, e poi direttamente di Nuccio Mazzei, figlio del capostipite Santo e da tempo rinchiuso al 41 bis.

Proprio Nuccio Mazzei, arrestato nel 2015 dopo un anno di latitanza, sarebbe stato uno dei soci occulti nella discoteca 69 Lune, di cui Cerbo deteneva la metà delle quote. “Di questo mio 50 per cento ho fatto entrare in partecipazione al 25 per cento Nuccio Mazzei tramite il cognato”, ha raccontato agli inquirenti.

Nonostante i dieci anni di differenza, Cerbo e Mazzei erano molto legati. “Non mi ricordo mai una pressione sua nei miei confronti. Ci volevamo bene”, ha detto, parlando delle truffe compiute partendo dall’acquisizione di società quasi decotte, a cui riusciva a dare una parvenza di credibilità funzionale a chiudere l’acquisto di merci che non venivano mai pagate e nel frattempo rivendute in nero.

A beneficiare di questo business era lo stesso Mazzei, a cui Cerbo per ogni operazione riconosceva tra i “trenta e i quarantamila euro”. Mazzei avrebbe ottenuto anche di più, potendo accedere anche ai materiali a prezzi di favore: “Ha ristrutturato case sue, casa al mare”.

La sparatoria

“Una cosa nuova, mai uscita agli atti”. Così Cerbo definisce il racconto di quanto accaduto una notte di dodici anni fa davanti al 69 Lune, per anni simbolo della movida catanese.

Dopo essere andati a mangiare pesce in uno dei ristoranti più noti della città, i due si spostano verso il locale. “È stato il periodo che lui era libero dalla sorveglianza, quindi la sera se ne veniva con me in discoteca”, ha spiegato Cerbo.

“All’epoca avevo un Porsche Carrera 4S bianco, lo posteggio davanti il 69 Lune, il parcheggio mio riservato, scendiamo io e lui – ricostruisce il neo-collaboratore di giustizia – Dopo neanche un minuto ci riempiono la macchina di colpi di pistola. Non so se era un kalashnikov, non lo so. Ci distruggono davanti a tutti quella macchina”.

La scena avviene davanti ai tanti clienti che attendevano di entrare nel locale. “C’erano più di cinquecento persone, perché era proprio l’inizio, mezzanotte, quando cominci a entrare nella discoteca, quindi succede un macello”.

All’origine di tutto ci sarebbe stata la reazione di uno dei rampolli del clan Laudani, indispettito per non essere riuscito ad accedere al locale, fermato dalla sicurezza affidata agli uomini del clan Mazzei.

In precedenza Cerbo aveva gestito i malumori garantendo l’ingresso – “gli ho offerto quello che gli dovevo offrire e poi se ne sono andati” – ma poi era capitato nuovamente che i buttafuori avessero impedito di varcare la soglia al giovane della cosca rivale e così “il sabato dopo mi hanno traforato la macchina”.

Come se nulla fosse

L’intimidazione pubblica aveva fatto andare su tutte le furie Mazzei. Stando alla versione di Cerbo, nei giorni successivi sarebbero stati contattati i referenti delle cosche presenti in città. “Catania era in subbuglio perché il padre Santo all’epoca ha detto che, il giorno che gli succedeva una cosa al figlio, avrebbe ammazzato tutti i figli di tutti i capi mafia di là”.

Alla fine, tuttavia, la tensione rientra e tutti capiscono che non è il caso di dare inizio ad alcuna guerra. Il primo a decidere di fare finta che nulla fosse successo è lo stesso Cerbo.

Davanti al poliziotto in questura che gli chiede di parlare dell’accaduto, scrolla le spalle. “Quella macchina l’ho tolta la sera stessa, l’ho fatta scomparire. Chiaramente gli ho detto (all’agente, ndr) che non sapevo nulla”, ha rivelato ai magistrati.