Notevoli difficoltà per il settore a causa dei ritardi accumulati dalla burocrazia regionale siciliana
La stagione venatoria è alle porte ma manca, come ormai accade ogni anno, il decreto da parte dell’assessorato regionale competente che ne disciplini l’attività, indicandone la data di inizio, fine e le relative condizioni. Questa volta i ritardi da parte dell’Amministrazione riguardano la caccia del coniglio selvatico.
I membri dell’Associazione Caccia, Sport e Natura lamentano la mancata emanazione del decreto. A parlare è Domenico Portale, presidente dell’associazione: “Per cacciare è necessario possedere la relativa licenza che è a sua volta collegata al rilascio del porto d’armi. Quest’ultimo, per ragioni di pubblica sicurezza, prevede delle condizioni di rilascio molto rigide, e una qualsiasi minima irregolarità può provocarne la revoca. Qui sta l’importanza di ottenere nei termini consoni e prefissati il decreto dell’assessorato regionale, che serve infatti a determinare le condizioni in base alle quali cacciare, per esempio durante quali giornate e dove. Questo per evitare, da un lato, di andare incontro a pene anche molto severe, e dall’altro, dare la possibilità ai cacciatori di organizzare la propria attività. Organizzare significa anche qualora le condizioni fissate per decreto non soddisfino gli utenti, decidere eventualmente di rinunciare all’attività, non pagando la relativa tassa e perdendo di conseguenza la licenza”.
È questo il problema principale, legato ai soliti ritardi nella pubblicazione del decreto. Come precisa ancora Portale: “Si tratta di un ritardo cronico. L’assessorato ha quasi sempre pubblicato il decreto oltre il termine massimo previsto del 15 giugno, ma quest’anno si è andati ben oltre”.
“Questa incertezza – ribadisce ancora il presidente dell’Associazione Caccia, Sport e Natura – crea anche un altro problema, di tipo economico. Non essere a conoscenza per tempo delle tempistiche e delle modalità di svolgimento della stagione della caccia crea un danno non da poco anche alle relative attività commerciali, come per esempio ristoranti e alberghi che lavorano solo durante la stagione venatoria e in determinate zone della Sicilia in cui essa si svolge. Pensiamo anche ai negozi che forniscono la relativa attrezzatura, invenduta se i clienti non conoscono tempi e modalità di svolgimento della caccia. Per queste attività si stima già una perdita di centinaia di milioni di euro”.
Ulteriore problema legato ai tempi della burocrazia dell’assessorato regionale riguarda poi i giovani aspiranti cacciatori: “Essi – spiega Portale – devono superare un esame orale per ottenere la licenza di caccia. L’esame è di competenza dell’assessorato che lo disciplina con il relativo decreto, prevedendo un esame su sei materie e convocando circa una ventina di persone per volta, impiegando quindi anni per poter far fronte a tutte le richieste. Nell’attesa perenne molti si stancano, rinunciando a sostenere l’esame, altri ancora non verificano più di essere stati convocati e la diretta conseguenza è che nel 2022, rispetto all’anno precedente, circa 5.000 cacciatori non hanno ottenuto o rinnovato la licenza”.
La soluzione che il presidente dell’Associazione propone è di inserire una modalità d’esame più moderna, attraverso una prova scritta con quiz, così da abbattere costi e tempi esaminando molti più candidati insieme. Proposta che al momento non è stata accolta. “Al contrario – sottolinea Portale – l’assessorato regionale ha tentato di risolvere il problema aumentando il numero delle sessioni d’esame. Per la provincia di Catania, per esempio, sono state previste 16 sessioni entro il 2023, dunque nulla di veramente risolutivo. Persiste insomma, un problema di disorganizzazione e disinteresse da parte dell’assessorato”.
Contestazioni da parte delle associazioni ambientaliste
Tra i punti da chiarire anche quello legato alle contestazioni da parte delle associazioni ambientaliste. Infatti, visti i ritardi nella pubblicazione del decreto, chiunque volesse fare ricorso – solitamente sodalizi che si oppongono alla caccia – non può procedere prima del mese di agosto, con conseguente slittamento della relativa udienza a settembre o oltre e dunque rallentando ulteriormente la definizione della stagione della caccia. La proposta che viene avanzata da Portale è allora quella di un cambio strutturale nel modus operandi dell’assessorato: “Sarebbe bene anticipare la pubblicazione del calendario e non attendere, o addirittura sforare ampiamente, il termine ultimo del 15 giugno. Così facendo la nostra attività non subirebbe ulteriori rallentamenti causati dai ricorsi, le cui udienze si svolgerebbero certamente prima della pausa estiva di agosto”.
Si eviterebbero in tal modo anche le perdite economiche prima descritte dovute alla perenne incertezza di cosa è possibile fare e cosa no quando si caccia, insieme all’impoverimento di una categoria i cui rappresentanti spesso rinunciano alla licenza per timore di incorrere in sanzioni, anche penali, nello svolgere un’attività non debitamente regolata e quindi dai confini incerti.
La tanto dibattuta questione etica della caccia
In questo quadro subentra poi la tanto dibattuta questione etica della caccia. Secondo i contrari, è contro la morale uccidere gli animali, ma a prescindere dalle opinioni personali di ciascuno, la caccia di oggi non è la stessa di cinquant’anni fa. Oggi il decreto dell’amministrazione definisce un ruolo preciso per il settore: fungere da controllo su una eventuale crescita eccessiva di una o più specie animali. “Il decreto – evidenzia Domenico Portale – si basa sulla base dei monitoraggi, cioè censimenti che l’Amministrazione dovrebbe svolgere per controllare eventuali situazioni di squilibrio tra le specie. Alcune di queste, come per esempio nel caso dei cinghiali, sono in aumento, altre invece in diminuzione. Verso queste ultime la caccia viene allora ridotta o del tutto bandita, mentre nel caso di un aumento spropositato di una specie, soprattutto quando questo fenomeno può causare danni all’ambiente circostante o alle altre specie animali, si autorizza la caccia per bilanciare questo squilibrio. Si tratta di un intervento fondamentale perché il soprannumero di una specie può compromettere l’esistenza di un’altra”.
“È proprio quello – precisa il presidente dell’Associazione Caccia, Sport e Natura – che sta succedendo con i cinghiali. Il loro numero è aumentato esponenzialmente, tanto da invadere anche le nostre città, ma soprattutto la loro presenza massiccia è diventata un problema per numerose specie, come il Coniglio selvatico o la Coturnice siciliana. I cinghiali infatti distruggono il terreno in cui solitamente si trovano questi animali, di conseguenza la loro sopravvivenza è messa in pericolo. Questo rappresenta quindi un classico esempio di uso della caccia per riequilibrare il sistema. Il problema, però, è che questa attività di monitoraggio, che dovrebbe rilevare tali situazioni di squilibrio, è ancora parziale”.
Stando a quanto spiegano le associazioni venatorie, manca quindi un dialogo produttivo con la Regione. “Purtroppo – conferma Portale – non ci sono stati confronti diretti con l’assessorato competente. I primi di marzo di quest’anno l’assessore ha convocato a Palermo le associazioni di categoria per quello che è stato un incontro conoscitivo e che doveva essere il primo di altri in cui si sarebbero dovute affrontare le questioni appena descritte. A oggi però non c’è stato nessun altro incontro”.
Il presidente dell’Associazione Caccia, Sport e Natura ha quindi voluto rivolgere un appello all’Amministrazione regionale per “svolgere i monitoraggi e anticipare la pubblicazione dei calendari di almeno tre o quattro mesi rispetto al termine ultimo fissato”. L’obiettivo è avere maggiori certezze per il comparto a tutela dell’ambiente e della categoria.