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Banda cinese trasferiva capitali all’estero: 170 milioni da attività illecite

Banda cinese trasferiva capitali all’estero: 170 milioni da attività illecite

Scoperta dalla Guardia di Finanza di Prato un’organizzazione criminale che ha trasferito in Cina oltre 170 milioni frutto di attività illecite

Avevano trasferito in Cina più di 170 milioni di euro frutto di attività illecite. Un sodalizio famigliare consolidato che in meno di 10 anni aveva permesso un danno all’erario consistente.

L’operazione della Giardia di Finanza di Prato

Scoperta dalla Guardia di Finanza di Prato un’organizzazione criminale certosina che ha trasferito all’estero oltre 170 milioni di euro frutto di attività illecite: emessa una misura di custodia cautelare in carcere nei confronti di un cittadino cinese.

Tra le gravi forme di illegalità economico-finanziaria perseguite dai miliari della Gdf pratese un posto di rilievo è rappresentato dal trasferimento all’estero di ingenti capitali frutto di evasione fiscale ed altre attività illecite perpetrate dalle numerose imprese a conduzione cinese. Si tratta di consistenti risorse sottratte alla collettività. In tale contesto, il Nucleo di Polizia economico-finanziaria di Prato ha concluso la prima fase di un’importante operazione di servizio, denominata “Pluto”.

Le investigazioni, avviate di iniziativa e proseguite sotto la direzione della locale Procura della Repubblica, hanno tratto spunto dall’attività info-investigativa nonché dall’approfondimento di numerose segnalazioni di operazioni sospette ai fini antiriciclaggio pervenute dalla Banca d’Italia.

Il sodalizio illecito


È stato così individuato un sodalizio illecito composto dai componenti di una famiglia di origine cinese residente a Prato, i quali – avvalendosi di prestanome prezzolati – dal 2013 ad oggi hanno costituito ben 24 imprese individuali fantasma al solo scopo di rastrellare, da altri soggetti economici loro connazionali operanti in tutto il territorio nazionale, ingenti provviste di denaro frutto di evasione fiscale ed altre illiceità. Capitali che le ditte fantasma ricevevano sotto forma di corrispettivi di fatture per operazioni inesistenti emesse e che i componenti del nucleo familiare provvedevano poi a trasferire in estremo oriente, dopo aver trattenuto una percentuale per la prestazione di servizio resa.

Le indagini hanno permesso di ricostruire – dal 2013 ad oggi – un flusso di denaro verso la Cina pari ad oltre 170 milioni di Euro, tramite bonifici operati da conti correnti intestati alle ditte fantasma, in realtà gestiti dagli stessi componenti del sodalizio. Operazioni finanziarie non supportate da alcuna giustificazione. Le ditte investigate sono risultate avere sede in bugigattoli inutilizzati, non disporre né di lavoratori dipendenti né di strutture ed attrezzature e non avere mai operato importazioni di merci.

I formali titolari delle imprese, anch’essi di origine cinese e quasi tutti irreperibili, erano reclutati da una loro connazionale e, a fronte di un compenso in contanti di circa 14mila euro, mettevano a disposizione i propri documenti di riconoscimento per avviare le false attività imprenditoriali ed aprire le posizioni bancarie.