Tagliare i vecchi assegni
L’anno prossimo, salvo aggravi, lo Stato erogherà 308 miliardi di euro mediante 22,8 milioni di assegni pensionistici. Qualche beneficiario ne riceverà più di uno, come è il caso di ex parlamentari (europei, nazionali e regionali), burocrati, giudici costituzionali ed altri.
Cosicché, un terzo del bilancio dello Stato serve per sostenere cittadini che in parte hanno meritato l’assegno ed in parte, invece, no. Ci riferiamo a tutti i pensionati che ricevono ancora gli importi calcolati col metodo retributivo, cioè non proporzionati ai contributi versati, e ad altri che ricevono tale assegno calcolato col metodo misto, retributivo-contributivo, in base alla riforma Dini, entrata in vigore il primo gennaio 1996.
L’Inps ha più volte comunicato che se si ricalcolassero tutti gli assegni col metodo contributivo, l’ammontare complessivo delle erogazioni annuali potrebbe scendere fra i quarantacinque ed i cinquanta miliardi, quasi il venti per cento.
Ovviamente, per ricalcolare le pensioni col metodo contributivo occorrerebbe una legge di rango costituzionale, molto difficile da approvare perché, appunto, una parte dei circa ventitre milioni di pensionati si rivolterebbe e voterebbe contro.
In ogni caso, cosa fatta capo ha. Tuttavia, non si può continuare ad appesantire il sistema pensionistico mandando fuori dal lavoro cittadini di sessanta – sessantadue – sessantaquattro – sessantasei anni, perché l’attuale limite di sessantasette anni è congruo in relazione all’attesa di vita.
Un sistema pensionistico che paga assegni “a vuoto”, cioè non in rapporto ai contributi versati, per un periodo più lungo di quello lavorativo, è destinato al fallimento.
Un sistema pensionistico così pesante, che favorisce il presente, dimentica totalmente i giovani che cominciano a lavorare ora e con i loro contributi pagano le pensioni. Ma quando arriverà il loro turno di incassarle, le casse dell’Ente previdenziale saranno in parte svuotate.
Ci dovrebbe essere dunque un bilanciamento fra presente e futuro, fra egoismo ed altruismo. Questo bisogna dire a chiare lettere, mettendo all’angolo i blablatori che rivendicano benefici oggi, dimenticando il domani.
Quota 100, che per fortuna cessa in modo irrevocabile il prossimo 31 dicembre, è costata alle casse dello Stato svariati miliardi. Peggio ancora, continuerà a costare per molti anni o decenni perchè i beneficiari – auguriamo loro – vivranno a lungo.
Dunque, un ritorno alla normalità, seppure graduale, cioè alla Riforma del benemerito presidente del Consiglio, Mario Monti, e del suo ministro, Elsa Fornero.
C’è di più. Tale riforma va attualizzata passando definitivamente al calcolo contributivo delle pensioni ed allungando ulteriormente il limite oltre i sessantasette anni.
Quanto precede è necessario per rendere compatibile ed equilibrato il servizio previdenziale, appunto, mettendo sulla bilancia ciò che accade oggi con ciò che accadrà fra venti o trent’anni. Guai a quella classe dirigente, politica, burocratica e civile che dimenticasse quello che accadrà, inseguendo quello che accade giorno per giorno.
Per capire quanto precede occorre una vera leadership, che sia empatica, studiosa, adusa al sacrificio e con la volontà di crescere continuamente. Leader non si nasce, ma si diventa, appunto, con i requisiti prima indicati. La leadership si guadagna giorno per giorno con capacità, costanza e voglia di conseguire i risultati.
La leadership va riconosciuta. Diceva il non dimenticato grande collega, Enzo Biagi: “Non importa quello che vali, importa gli altri come ti valutano”.
Questa frase di buonsenso dovrebbe essere un comune denominatore di tutta la classe dirigente, anche se, con rammarico, dobbiamo costatare che essa non lo è affatto perché per dirigere bisogna capire i fenomeni e possedere conoscenze e competenze tali da affrontarli con adeguate soluzioni.
La Legge di Bilancio 2022 andrà in approvazione in base allo schema del Documento inviato all’Unione europea. La leggeremo per constatare che – secondo Mario Draghi – abbia una forza propulsiva che faccia crescere il Pil del sei per cento l’anno. Prosit!