L’amministratore giudiziario ha messo in moto l’iter per il divieto alle aziende di conferire nell’impianto già sequestrato nel giugno scorso per disastro ambientale. Si rischia una seconda Ilva
PRIOLO (SR) – È nuovo allarme per il futuro dell’intero petrolchimico di Priolo. L’amministratore giudiziario del depuratore Ias, Antonio Mariolo ha appena due giorni fa intimato alle aziende del Petrolchimico di avviare l’interruzione del conferimento dei reflui industriali nell’impianto, ponendo nuovamente al centro dell’attenzione il possibile blocco del depuratore per grave inquinamento ambientale, decretando a cascata, senza interventi idonei, la paralisi dell’intero polo industriale della raffineria del sud che serve per oltre il 15% il fabbisogno nazionale di idrocarburi.
Secondo quello che emerge l’amministratore avrebbe appurato, come era evidente, che le prescrizioni disposte dalla Procura dopo il sequestro a giugno dell’impianto non sarebbero state rispettate. Nella nota inviata alla Regione, al Tribunale di Siracusa, alle aziende coinvolte nello smaltimento oltre che al Comune di Priolo, l’amministratore fa presente che in assenza di queste controdeduzioni da parte dei proprietari dell’impianto si procederà all’avvio delle procedure di divieto a conferire.
Verso l’interruzione dei conferimenti
Si è anche appreso che alcuni giorni fa all’amministratore giudiziario è giunta una ordinanza del Gip del tribunale di Siracusa che dispone l’avvio delle procedure per giungere all’interruzione dei conferimenti. Per trovare un escamotage al paventato rischio di paralisi dell’intero sistema di raffinazione il presidente della Regione Renato Schifani ha precipitosamente nominato l’ex magistrato Giovanni Ilarda commissario liquidatore del consorzio Asi Sicilia orientale (proprietario del depuratore) per avviare una interlocuzione con la Procura per arrivare a una soluzione che possa impedire una paralisi e allo stesso tempo il blocco dal lavoro per migliaia di operatori.
Disastro ambientale di vaste proporzioni
Resta da capire come superare la perdurante emissione di veleni nell’aria e nel mare dell’area orientale, con conseguente danno alla salute di decine di migliaia di cittadini. Insomma da qui a breve si rischia di avere una seconda Ilva, con un braccio di ferro tra l’autorità giudiziaria e la politica e il conseguente intervento del governo nazionale che già, per il caso Lukoil, era intervenuto col ministro alle Infrastrutture, Adolfo Urso.
L’allarme di Legambiente
A puntare i riflettori sulle gravi anomalie del depuratore è stata, lo scorso 28 novembre, la puntata di Report su Raitre. Da quel momento i riflettori sono stati nuovamente indirizzati sullo smaltimento dei reflui industriali, una bomba a orologeria per l’ambiente circostante e una parte della Sicilia orientale. A giugno la Procura indagò 26 persone tra fisiche (19) e giuridiche (7) con l’accusa di disastro ambientale e diede precise indicazioni alla Regione proprietaria per il 65% dell’impianto stesso, che non sarebbero state osservate. Sarebbe inoltre emerso che l’impianto non si sarebbe dotato di una autorizzazione integrata ambientale, documento necessario per dare il via libera all’attività di aziende grandi e pericolose dal punto di vista ambientale.
Enzo Parisi, responsabile di Legambiente Augusta, da tempo denuncia la situazione e specificatamente alla questione finita sui giornali ha detto che, secondo quanto appurato dagli inquirenti, il depuratore dal 2016 avrebbe sversato in mare una tonnellata e mezzo al giorno di idrocarburi, per un totale sembra di 2500 tonnellate di veleni.
Inoltre, sempre l’impianto non a norma, avrebbe immesso nell’atmosfera, tra il 2016 e il 2020 qualcosa come 77 tonnellate all’anno di sostanze nocive. Il tutto mentre in tutta la zona migliaia di persone continuano a vivere tranquillamente e d’estate si riversano sulle belle spiagge della zona.
Limiti superati anche di venti volte
Il prof. Riccardo Maggiore, docente di Chimica all’Università di Catania e uno dei maggiori esperti italiani in materia di depurazione, a novembre dichiarò. “La legge stabilisce dei limiti di immissione in fognatura. C’è un limite per gli idrocarburi totali che è di 10 milligrammi per litro. Per i solfuri il limite è 2 milligrammi per litro. I valori massimi ammessi in base a contratti avrebbero previsto per Priolo uno smaltimento pari a 200 mg per litro anziché 10. Venti volte più di quanto consentito dalla legge”.
Maggiore poi fa una considerazione sulle deroghe disposte per l’impianto e aggiunge che permettono sino al 40% in più di smaltimento rispetto ai valori massimi ammessi attraverso un pagamento di un maggiore onere facendo capire chiaramente che su tutta la questione ci sarebbe stata una volontà politica per scaricare i costi del privato sul pubblico, concludendo il suo pensiero soffermandosi sull’anomalia della nomina dei direttori del depuratore indicati dalle aziende private. Proprio quelle che poi conferivano i veleni nel depuratore. Insomma chi ha diretto negli anni tecnicamente il depuratore, sarebbero state le stesse aziende che poi hanno inquinato, in una sorta di binomio “controllori e controllati…”.