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Progettare il futuro ora, non fra un secolo

Siamo ferventi sostenitori della Democrazia, ma cominciamo a sospettare che essa non sia il miglior modo per guidare i popoli. Sembra un ossimoro, perché in effetti il potere dovrebbe promanare dallo stesso popolo, però si sta verificando esattamente il contrario e cioè che il popolo da soggetto sia diventato oggetto.
Di chi? Di caste di vario genere, di sistemi che governano l’economia e la finanza mondiale, di gente senza scrupoli che sfrutta i più deboli per il proprio tornaconto.

Anziché coltivare la bellezza e la cultura – come motori della crescita e dello sviluppo sociale ed economico – molti continuano in un comportamento gretto ed ignobile che serve soltanto ad accumulare ricchezze sottraendole alla gente comune. L’avvento dei media sociali, l’apertura di uno scenario immenso qual è la Rete, ha consentito a tutti di accedere all’informazione. Però c’è un limite enorme: senza il bagaglio culturale, l’informazione può essere utilizzata per creare distorsioni.

I popoli sono governati dalla politica e dai politici, i quali sono eletti dagli stessi popoli, con la conseguenza che quando essi scelgono male, fanno una sorta di harakiri. La verità è, però, che il popolo non sceglie affatto, bensì viene teleguidato perché scelga chi indirizzi la sua opinione, che è coartata dai nuovi mezzi di comunicazione. Cosicché la Rete, anziché estendere i principi di libertà e di valutazione nella gente, è diventata uno strumento bieco per guidare la stessa gente a fare le scelte che non le convengono.
Quando la classe politica è mediocre, la conseguenza che ne deriva riguarda la lentezza delle sue decisioni e la non obiettività delle stesse, per cui quello che si deve fare oggi si rinvia a domani, a dopodomani o al prossimo secolo.

E invece il futuro dev’essere progettato il prima possibile, non procrastinato nel tempo. Non solo, ma la cosa più grave è l’attuazione della progettazione che viene fatta in tempi immemorabili. L’incapacità di decidere presto e bene è una colpa grave che non può essere cancellata, ma che non viene capita dal popolo che ha espresso quella classe politica.

Bellezza e cultura, si scriveva, dovrebbero essere il motore della crescita. Ma chi si rifà alla prima e chi possiede la seconda? Certamente una fascia minoritaria della popolazione.
Nel nostro Paese tale fascia è ancor più minoritaria, lasciando mano libera a quella maggioritaria che, vivendo nel brodo dell’ignoranza, è facile preda degli imbonitori, dei blablatori, i quali possiedono mezzi rilevanti per convincerli a prendere decisioni che non sono nel loro interesse.

Insomma, ci sembra che questa sia una democrazia teleguidata e quindi verrebbe così dimostrato l’assunto che non è vero che il potere promana dal popolo, ma che esso è diventato uno strumento di chi lo sa gestire per interessi adesso contrari. L’evoluzione tecnologica dovrebbe essere uno strumento di crescita generale. In effetti, tale crescita va a vantaggio dei pochi che la possiedono e che sono in condizione di utilizzarla per i propri fini e interessi. La questione che scriviamo non è di poco conto e dovrebbe aiutare a meditare sui nostri comportamenti.

Venendo al nostro Paese, gli ultimi decenni hanno dimostrato una decadenza sempre maggiore del ceto politico e in genere della classe dirigente. È inutile prospettare idee, traguardi luminosi, diffusione dell’equità, quando gli atti e i comportamenti sono diametralmente opposti.

In questa epidemia diffusa, il nostro Paese ha dimostrato due cose: l’insufficienza dell’organizzazione sanitaria e la profonda differenza della qualità dei servizi pubblici fra il Nord e ilSud. Non sappiamo se i dati che ci vengono trasmessi siano veri o rabberciati. Ma pur prendendoli come esatti, la dimostrazione di quanto precedente emerge in tutta chiarezza.

Ora, dopo l’accordo europeo, il Governo e la maggioranza dovrebbero gestire cospicue risorse per costruire un futuro non lontano. Però, dobbiamo constatare che il fiume di parole è inarrestabile e l’assenza di decisioni concrete è evidente.

Così non c’è crescita, ma continua la discesa. Fino al baratro?