Basta con la cultura del favore
Nel nostro Paese, si sa, esiste la cultura del favore, per la verità più accentuata nel Mezzogiorno. Tale cultura è connessa allo stato di povertà che condiziona i/le cittadini/e, con la conseguenza che essi/e non hanno la libertà di scegliere perché dipendono dai padroni.
Ma i/le cittadini/e bravi/e, preparati/e e capaci non sono sudditi/e, perché nel rapporto di lavoro riescono ad imporsi, in quanto meritevoli e quindi capaci di produrre risultati indispensabili al datore di lavoro.
Nel nostro Paese i datori di lavoro sono di due categorie: pubblici e privati. L’organizzazione e il funzionamento della macchina pubblica sono molto diversi da quelli della macchina privata. Nella prima vige il principio dell’avanzamento per anzianità: ma un asino resta asino anche se arriva a cento anni, con la conseguenza che tale criterio dovrebbe essere abolito ex abrupto. Non è possibile infatti vedere ancora avanzamenti di carriera solo perché i capelli restano bianchi.
Nel settore privato, invece, vige il principio del merito perché ogni impresa, di qualunque dimensione, ha un padrone: il conto economico, il quale ha regole rigorose che non possono essere disattese.
Quando esso viene trascurato, la conseguenza è il fallimento dell’impresa, che avviene quasi sempre per incapacità del suo capitano, il/la quale non è in condizione di guidare la propria nave-impresa in un mare che spesso è burrascoso e in cui è difficile stare dentro.
La cultura del favore è la costante nella Pubblica amministrazione perché il ceto politico debole e fragile non è in condizione di governare i dirigenti, per carenza di capacità e cultura.
Ora, è difficile governare soggetti che sono più bravi di chi li governa, per cui ne consegue che la modesta qualità dei vertici politici si trasforma nella modesta qualità dei vertici burocratici, perché a nessuno piace essere superato. Solo i bravi scelgono collaboratori/trici bravi/e; i mediocri scelgono collaboratori/trici mediocri.
Dal quadro che descriviamo si evince con grande chiarezza come la qualità media dei pubblici dipendenti italiani sia modesta proprio perché chi li sceglie è modesto e non ama essere superato/a.
All’inverso di quanto scriviamo, nel nostro Paese si rende indispensabile aprire la Pubblica amministrazione ai talenti, cioé a quegli/quelle italiani/e bravi/e che sono in condizione di gestire le diverse branche amministrative e di ottenere i risultati di cui il Popolo ha bisogno.
Per ottenere i risultati occorre essere meritevoli e capaci. Infatti, i risultati si misurano col merito.
Parliamo ovviamente di risultati concreti, non di risultati finti e fasulli, che fanno dare premi a chi non li merita, in quanto essi non producono ricchezza materiale né immateriale.
Sgombriamo il campo da una questione che viene interpretata male dai/dalle cittadini/e: qualunque servizio, anche non economico, se ben fatto, produce ricchezza. Ecco perché nella Pubblica amministrazione del nostro Paese dovrebbe essere inserito il principio del merito anche in base alla produzione di ricchezza, ripetiamo, materiale o immateriale.
Talento e capacità di produrre ricchezza, ecco cosa serve all’Italia per cambiare profondamente il suo stato asfittico e piatto nel quale si adagia da almeno trent’anni.
Nessun presidente del Consiglio è riuscito a riformare la Pubblica amministrazione e, meno che mai, nessuno dei ministri da lui indicati al presidente della Repubblica quale titolare della stessa.
La ragione è semplice: i ministri che si sono succeduti a quei dicasteri erano incompetenti, non avevano la minima idea né conoscenza di quella giovane scienza che è l’organizzazione e quindi non potevano in nessun caso essere in condizione di operare professionalmente ed in modo efficiente al fine di far raggiungere alla macchina dello Stato quello standard minimo di qualità necessario per farla funzionare bene.
In questo quadro, i dipendenti pubblici hanno ignorato l’articolo 54 della Costituzione, il quale dice che: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore”.
Per cui, occorre richiamare i talenti nella struttura pubblica e occorre bandire i raccomandati e i favoriti; ne va della salute pubblica di tutti/e i/le cittadini/e.