L’abbiamo scritto più volte, il nostro Paese ha un guidatore (il Governo) che funziona, ma il motore (la Pubblica amministrazione) va a tre cilindri su quattro.
La Pa è un insieme di oltre tre milioni di dirigenti, funzionari e dipendenti che non funzionano perché non hanno un’organizzazione efficiente che punti alla massimizzazione dei costi e all’ottenimento dei migliori risultati possibili, tenuto conto delle risorse impiegate.
Intendiamoci, il discorso che precede non è di tipo economico, ma funzionale perché non intende conseguire un reddito – la differenza fra costi e ricavi – bensì risultati. Una struttura, piccola o grande che sia, si misura in base ai risultati che ottiene, i quali si raffrontano con gli obiettivi prefissati all’inizio di ogni anno. Va da sé che tali obiettivi devono rientrare in un programma poliennale, per cui sono una parte di quelli generali.
Vediamo di spiegare meglio quanto precede.
I rapporti di lavoro fra i datori, cioè le istituzioni (nazionali, regionali e locali) e i propri dipendenti (compresi dirigenti e funzionari) sono disciplinati dai diversi Contratti collettivi nazionali di lavoro per fasce. All’interno di essi vi sono le regole che dovrebbero scaturire dai modelli organizzativi per farne parte integrante. Per cui, tali Ccnl non sono variabili indipendenti, ma parti che devono essere in perfetto accordo con il sistema.
È così la realtà che esaminiamo? Per nulla, cosicché vi sono profonde differenze fra un modello organizzativo e le regole di coloro che lo dovrebbero attuare. Sono proprio queste differenze che creano disfunzioni e situazioni difficili, lontane dalla realtà.
Ma chi dovrebbe realizzare l’organizzazione dello Stato, delle Regioni, delle Province e dei Comuni? Non certo gli stessi dirigenti e funzionari interni, perché sarebbero tentati di modellarli secondo le proprie visioni, anche egoistiche, e non secondo obiettivi che mettano al primo posto l’interesse dei/delle cittadini/e.
Ecco il punto: il sistema funzionale delle Amministrazioni pubbliche non tiene conto dell’interesse dei/delle cittadini/e, ma solo quello dei propri lavoratori di vario livello.
L’organizzazione di tutti gli enti pubblici del nostro Paese dovrebbe essere affidato a organismi esterni, anche internazionali, o a professori/esse di organizzazione, in modo da rispettare l’indipendenza del loro giudizio in relazione agli interessi corporativi di dirigenti, funzionari e dipendenti. Per far questo occorre un ceto politico forte, che abbia a cuore, come prima si scriveva, l’interesse generale e che sia capace di mettere in secondo piano quello dei dipendenti.
Con una metafora potremmo dire che il meccanico deve mettere in equilibrio tutte le parti di un veicolo per farlo funzionare bene e non può certo mettere componenti difettose o, peggio ancora, guaste. La prova del nove è che quando si accende un motore, questo deve girare bene sia al minimo che al massimo.
Fuor di metafora, quando si “accende” la Pubblica amministrazione di qualunque livello, si sente che essa non “gira” bene perché le disfunzioni e conseguentemente i disservizi sono molteplici, anche perché sistematici.
Siamo convinti che nessuna istituzione pubblica, ripetiamo, di qualunque livello, prenderà mai in esame quanto proponiamo e cioè redigere un piano organizzativo efficiente, funzionale, che abbia obiettivi certi, perché per farlo occorrerebbe eliminare il clientelismo e il favoritismo, elementi che permeano tutto il tessuto politico e partitico. Per cui non si mettono i/le migliori e i/le più competenti nei vertici delle varie strutture, bensì l’amico/a dell’amico/a.
Nella Pa italiana mancano le competenze. Per inteso, fatta salva quella parte di essa che lavora molto e bene, è preparata e che di fatto regge tutto l’impianto pubblico. Per esempio, le Forze dell’Ordine funzionano molto bene perché hanno un sistema organizzativo efficiente, basato sui risultati.
Vi è qualche altra struttura pubblica che funziona in maniera altrettanto efficiente, come l’avvocatura generale dello Stato. Ma tolte le persone che vi lavorano, le restanti – che arrivano ad oltre tre milioni – fanno un po’ quello che vogliono o quello che gli conviene fare.

