Pa, Piano Organizzativo dei Servizi (POS) - QdS

Pa, Piano Organizzativo dei Servizi (POS)

Carlo Alberto Tregua

Pa, Piano Organizzativo dei Servizi (POS)

martedì 29 Giugno 2021

Essenziale qualità lavoro pubblico

Il POS che analizziamo oggi non è l’acronimo dell’apparecchietto con cui ognuno può pagare con carta di credito o bancomat, cioè il Point of Sale, bensì l’acronimo del Piano Organizzativo dei Servizi (pubblici).

In che cosa consiste? Nel conteggiare la tipologia di servizi ed il loro numero che ogni ente pubblico deve erogare a richiesta di cittadini, imprese ed altri enti di vario genere.

Se prima non si fa l’inventario di quanto viene richiesto, anche sulla base di dati statistici degli anni precedenti, nessuna Pubblica amministrazione è in condizione di determinare quale sia il fabbisogno di personale, distinto per figure professionali.

La conseguenza di quanto scriviamo è che le attuali piante organiche non servono a nulla perché redatte senza il POS e comunque relative a situazioni di dieci o venti anni precedenti.
Il POS dovrebbe essere aggiornato ogni anno perché le esigenze mutano continuamente e ad esse debbono essere date risposte con servizi puntuali ed intelligenti che soddisfino cittadini ed imprese.

Uno dei difetti del Governo di questi tempi è il paragone dei dati dell’anno corrente con quelli dell’anno Covid-19, cioè 2020, anziché con quelli del 2019. Non sappiamo se questo paragone improprio sia fatto ad arte per confondere i cittadini, ma quando vediamo dati di incremento, vero o supposto, del Pil del 4,5 per cento, della produzione industriale del 75 per cento e di altri settori con percentuali incredibili, ci accorgiamo subito del trucco. Se questi indici fossero paragonati al 2019, sarebbero fortemente ridimensionati, anzi, in qualche caso, andrebbero in negativo.

Questo modo di rappresentare la realtà inesistente è ingannevole, ma non sono molti i cittadini che lo capiscono; poi nelle chiacchiere da bar discutono di questi miglioramenti che sono falsi.

Di questi dati si pasce anche la Pubblica amministrazione, la quale però, viaggiando con la diligenza, non ha la sensibilità di capire i mutamenti della realtà sociale ed economica e quindi delle necessità dei propri “clienti”.

Già, “clienti”. Ecco come dovrebbero essere considerati cittadini, imprese ed altri che chiedono servizi che devono essere erogati presto e bene dalla Pa, come qualunque azienda ha il dovere di fare nei confronti di chi sborsa danaro.

Sentiamo subito l’osservazione: l’ente pubblico non è un’azienda. Chi lo afferma è un ignorante perché non sa, invece, che l’ente pubblico è proprio un’azienda che si distingue dall’impresa perché non ha fini di lucro. Ma le regole organizzative di indirizzo, di esecuzione e di controllo sono le medesime.

La qualità dei servizi si misura dai risultati in base agli obiettivi prefissati, con un livello di efficienza che quantifica le performance.

Tutto questo è sconosciuto nel settore pubblico, anche se vi sono dirigenti e funzionari valorosi che hanno studiato, che conoscono questi procedimenti e saprebbero come fare. Solo che non sono messi nei posti di responsabilità e comunque i vertici non predispongono la stesura del POS complessivo e settoriale.

Se la Pa funzionasse nel modo descritto e cioè premiasse i propri dirigenti e dipendenti in base ai risultati raggiunti, proporzionati agli obiettivi prefissati, tutto il lavoro pubblico si potrebbe definire “vero”, mentre oggi è un lavoro “finto”. Vero perché produttivo, finto perché improduttivo.

Non solo il lavoro pubblico improduttivo costa all’Erario (cioè ai cittadini) cifre notevoli, ma il mancato raggiungimento di risultati comporta un rallentamento della ruota economica, che ha invece bisogno di servizi pubblici rapidi, efficienti, funzionali.

Tutti i dirigenti pubblici, per essere nominati, come esterni, dovrebbero avere fra i propri titoli la partecipazione a MBA (Master in Business Administration) e le materie studiate in questi master dovrebbero essere inserite nei concorsi pubblici, per cui anche chi vi partecipa, sarebbe costretto a conoscerle.
La conoscenza è determinante, anche se è un problema della neuroscienza. Il guaio è che i milioni di dirigenti e dipendenti pubblici ne difettano. Dipende da loro acquisirla.

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