La qualità di vita dei siciliani non è per nulla buona. Sono tanti gli indicatori, individuati dall’Istat, che creano un quadro generale rispetto al benessere dei cittadini sia dal punto di vista economico che in termini di relazioni sociali o di sicurezza. E la Sicilia, purtroppo, si trova quasi sempre nella coda della graduatoria italiana, ben al di sotto della media nazionale. Innanzitutto, il problema economico: il rischio di povertà è molto alto, mentre è basso il reddito pro capite.
La Sicilia rimane al di sotto del dato nazionale anche in riferimento alla situazione economica familiare. L’insieme dei dati porta la regione al quart’ultimo posto; peggio soltanto la Sardegna, la Campania e la Calabria. Il dato è direttamente correlato alle condizioni lavorative, e gli indicatori portano l’Isola in fondo alla classifica: molta disoccupazione, soprattutto femminile, a condizioni che non danno al lavoratore sicurezza e stabilità, tanto che molti sono i lavoratori sovra-istruiti.
La qualità di vita dei siciliani è molto bassa, incide l’istruzione
Incide non poco la condizione dell’istruzione nella regione: pochi i laureati, la competenza alfabetica dei giovani non è adeguata, sono pochi i lavoratori che si impegnano nella formazione continua, così come è poco diffusa la competenza digitale di base. Nell’insieme dei dati del settore, la Sicilia si pone all’ultimo posto della classifica nazionale. Ciò porta i siciliani ad avere una percezione piuttosto negativa del futuro e della propria vita, tanto che l’Isola scende nella graduatoria al penultimo posto per questo specifico indicatore.
Una condizione che non può non riflettersi nelle relazioni sociali: poco o nulla propensione al volontariato e poca fiducia nel prossimo, che sia il vicino ma anche le istituzioni, tanto che la partecipazione alla vita politica è ben al di sotto della media nazionale. Anche in questo caso, la Sicilia si pone nell’ultimo gradino della scala italiana. Se si allarga lo sguardo oltre la singola regione, le disparità territoriali nei livelli di benessere rispecchiano la mancata convergenza nei livelli di sviluppo e vedono in una posizione di generale vantaggio le regioni del Nord, che si addensano sopra il valore medio nazionale, mentre quelle del Mezzogiorno si trovano al di sotto.
Al Nord solita marcia in più
Per tutte le regioni del Nord, infatti, e per la Toscana almeno il 60% degli indicatori relativi alla qualità di vita presenta valori superiori alla media italiana, con punte di circa il 75% per il Veneto e le province autonome di Bolzano e Trento. Per tutte le altre regioni del Centro almeno la metà degli indicatori ha valori superiori al dato nazionale. Per le regioni del Mezzogiorno, invece, la percentuale di indicatori con valori migliori del dato nazionale è sempre inferiore al 50%, benché vi siano importati distinzioni, con la quota che è superiore al 40% in Abruzzo, Molise e Sardegna mentre in Campania, Puglia e Sicilia arriva al massimo al 25%. Lo svantaggio del Mezzogiorno è più marcato nei domini salute, istruzione e formazione, paesaggio e patrimonio culturale e, in particolar modo, nei domini lavoro e conciliazione dei tempi di vita e relazioni sociali.
Il benessere soggettivo
Per quanto riguarda, invece, il benessere soggettivo, non emerge uno schema territoriale definito, con la Lombardia e la Calabria che hanno tutti gli indicatori su livelli migliori rispetto alla media nazionale, mentre Umbria, Marche, Puglia e Sicilia non ne hanno nessuno. Per quanto riguarda il lavoro, ad esempio – oltre che in Sicilia, in Campania, Basilicata, Calabria – tutti o quasi tutti gli indicatori considerati dall’Istat registrano valori inferiori alla media nazionale, mentre in Piemonte e Lombardia sono tutti sopra la media; per le relazioni sociali in Campania, Puglia e Sicilia si riscontrano sempre valori più bassi del dato medio, mentre nelle due province autonome di Bolzano e Trento, in Veneto e Emilia-Romagna i valori sono tutti più alti della media italiana.
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