La “Crocifissione bianca” di Marc Chagal, dipinto nel 1938, non rappresenta soltanto le persecuzioni ma è soprattutto un’opera profetica della shoah
Quando Pablo Picasso nel 1937, diede l’ultima pennellata e completò “Guernica” aveva offerto al mondo la descrizione delle sofferenze, delle violenze, delle distruzioni, che avevano colpito uomini, animali e cose, nell’omonima cittadina spagnola a causa dei bombardamenti e della guerra. Questo quadro realizzato con l’utilizzo di tre soli colori bianco, nero e grigio, con la frammentazione e la deformazione delle figure, tipiche della tecnica cubista, rende in modo incomparabile gli effetti della guerra nella città basca, che aveva subìto i tremendi bombardamenti nazi-fascisti e ne fa un documento indelebile di quella realtà che allo stesso tempo diviene una denuncia perenne contro la guerra e l’ingiustizia che le è sorella.
L’anno successivo Marc Chagal, dopo le brutalità e le violenze della “notte dei cristalli” dipinge l’opera “Crocifissione bianca” che non rappresenta soltanto le persecuzioni, le devastazioni subite dagli ebrei sino a quella data nell’Europa centrale e orientale, ma è soprattutto un’opera profetica della shoah e di quant’altro sarebbe avvenuto ed ancor oggi avviene contro il popolo di Israele.
Al centro della tela, primeggia, Gesù crocifisso illuminato da un possente raggio di luce che lo inalba ed è coperto, sul ventre, dal talled, scialle rituale di preghiera ebraico e simbolo dell’ebraismo stesso. Ai piedi della croce una menorh con i suoi lumi accesi. Tutto attorno quasi in una ideale corona, scene di violenza, devastazione e fuga che vedono come vittime uomini e donne ebree. Il quadro è carico di un suo assai significativo simbolismo, tra cui anche una scala di pochi gradini, che forse suggerisce l’idea della impossibilità, in quella realtà disperata, di una ascesa liberatoria. Sono descritti con mille particolari e richiami le oppressioni che ha subito il popolo ebraico, le sue non volute fughe alla ricerca di una improbabile salvezza. Il Cristo addormentato in un quieto sonno di morte è l’epicentro del quadro, tutto intorno, è sconvolgimento e desolazione. L’opera, per Marc Chagal, pittore bielorusso, naturalizzato francese, di origine e profonda cultura ebraica è il rivoluzionario ribaltamento di uno dei principali stereotipi antisemiti, perché, a dire del pittore, l’uomo crocifisso rappresenta, in tutto e per tutto un ebreo, ed in lui si riassumono tutte le persecuzioni subìte dal Popolo israelitico.
Passato e futuro si confondono in quel martirio. Come ha tenuto a precisare lo stesso Chagal, Cristo è il vero martire ebreo. Ma oltre al contenuto della tela, è la storia che ci mette al cospetto della verità di Gesù, ebreo circonciso, uomo nel suo tempo, nato da Maria, la cui condizione di figlia di Israele è egualmente incontestabile. Uomo ricco di fede, aveva predicato l’amore per il prossimo, per gli ultimi ed i reietti, traendo ogni parola dei suoi insegnamenti dalla religione in cui era nato e vissuto. Ciò trova conferma nella circostanza che per tanti decenni dopo la morte di Gesù, ebraismo e cristianesimo non erano distinti e la loro separazione, come due religioni diverse cominciò a manifestarsi quando erano ormai passati più di cinquant’ anni ad opera di Paolo di Tarso, ebreo ellenizzato, cittadino romano, che non aveva conosciuto personalmente Gesù, nato nell’anno 4 d. c., convertitosi al cristianesimo, mentre percorreva la strada da Gerusalemme a Damasco.
Successivamente i termini del distacco vennero teorizzati dalla patristica, filosofia dei primi secoli dell’e.v., elaborata dai Padri della Chiesa. La Crocifissione bianca di Marc Chagal è custodita presso l’Art Institute di Chicago e dal 27 novembre 2024 al successivo 27 gennaio (Giornata della memoria) resterà esposta a Roma, presso il Palazzo Cipolla nell’ambito delle manifestazioni organizzate in occasione del Giubileo. In epoca di regresso del dialogo interreligioso tra cristiani ed ebrei, le modalità con cui è stata presentata l’opera dagli espositori (iubilaeum2025.va) ha suscitato vibranti polemiche da una parte dell’ebraismo, che ha avvertito una minimizzazione dell’ebraicità del dipinto (morasha.it – articolo di J. Sierra dell’1.12.2024).