Può un’azienda perseguire obiettivi di beneficio comune e uno scopo che vada oltre il solo profitto? Ebbene, sì. Dal punto di vista normativo si legge – sul sito di informazione delle società benefit – che queste ultime “sono previste nella Legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante ‘Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato’ (legge di stabilità 2016 – GU n.302 del 30-12-2015 – Suppl. Ordinario n. 70), entrata in vigore l’1 gennaio 2016”.
La legge sulle società benefit
L’articolo 1 della legge sulle società benefit parla chiaro: “La presente legge ha lo scopo di promuovere la costituzione e favorire la diffusione di società, denominate Società Benefit, che nell’esercizio di un’attività economica, oltre allo scopo di dividerne gli utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni e attività culturali e sociali, enti e associazioni e altri portatori di interesse”.
Dalla “Ricerca nazionale sulle società di benefit 2025” emerge che lo status giuridico di Benefit Corporation (in Italia Società Benefit) è stato per la prima volta approvato in Maryland nel 2010, con l’obiettivo di creare una nuova forma di governance orientata allo sviluppo di valore condiviso, che affiancasse alla produzione di utili la creazione di un impatto positivo sulla società e sull’ambiente da parte dell’azienda.
Innovativo, ma oltre oceano. E in Italia? Nel 2016 l’Italia è diventato il primo Paese, dopo gli Stati Uniti, a introdurre nella propria legislazione la possibilità per le aziende di adottare la qualifica di Società Benefit. Ogni azienda può diventare società benefit, inserendo all’interno del proprio oggetto sociale le finalità di beneficio comune, ovvero il proprio obiettivo di creazione di valore per tutti gli stakeholder, ufficializzando così l’impegno a perseguire obiettivi di bene comune e uno scopo che vada oltre il solo profitto.
Cosa comporta la gestione di un tale tipo azienda?
Un gioco prezioso di equilibri, poiché la gestione di queste società richiede ai manager di perseguire un impatto sociale e ambientale nell’esercizio dell’attività economica, bilanciando così gli interessi di pochi (ossia gli azionisti) con gli interessi di molti (società e ambiente). Si prevede, inoltre, la nomina di una persona che sia responsabile dell’impatto dell’azienda, misurabile con rigore e trasparenza e rediga una relazione annuale di impatto, da depositare in Camera di Commercio assieme al Bilancio.
Alla luce di tutto ciò qual è l’impatto di questa nuova visione aziendale? In questi anni il processo di adozione del modello di Benefit Corporation è cresciuto in tutto il mondo, oltrepassando i confini dei trentotto Stati americani e dell’Italia. Sul nostro territorio nazionale tali aziende si concentrano nel Nord-ovest, con il primato della Lombardia. L’incidenza nelle isole si attesta al 4,1 per cento. Nel 2024 la Sicilia ne registrava 143.
I settori in cui emerge una maggiore presenza di Società Benefit sono i servizi di informazione (8,35%), seguono le attività professionali (7,52%), l’istruzione (4,9%), la fornitura d’acqua (4,14%), anche se per numerosità spiccano altresì manifattura e commercio. In termini dimensionali l’incidenza è maggiore tra le grandi aziende (con più di 250 addetti) che raggiungono circa il 2%, anche se per numerosità si collocano al primo posto le micro imprese con 3.324 Società Benefit, seguite a quota 825 dalle piccole imprese.
Le prime dieci finalità del beneficio comune
La classifica delle top dieci finalità specifiche del beneficio comune offrono un interessante visione di come le aziende decidano di impegnarsi a esprimere il proprio impatto positivo su tutti gli stakeholder. Ecco di seguito la classifica delle prime dieci categorie: 1) relazioni con la comunità; 2) coinvolgimento, diversità e inclusione delle persone; 3) diffusione del modello benefit; 4) resilienza del modello di business; 5) progettazione del prodotto e gestione del ciclo di vita; 6) efficienza operativa; 7) gestione della catena di approvvigionamento; 8) approvvigionamento ed efficienza nell’uso dei materiali; 9) impatti ecologici; e infine la 10) l’etica professionale, ossia l’impegno ad adottare stili di leadership e gestionali che non scendono a compromessi su comportamenti competitivi, ambiente, persone e diritti.

