Tavola rotonda sulla legalità organizzata da Fillea Cgil Sicilia a pochi giorni dall’arresto di Messina Denaro. La testimonianza di un imprenditore: "Dimostrare che chi denuncia non avrà problemi"
CATANIA – Ad una settimana dall’arresto del boss Matteo Messina Denaro, l’appuntamento “Quel fresco profumo di libertà. La legalità per lo sviluppo sociale ed economico del paese”, organizzato da Fillea Cgil Sicilia, ha messo nuovamente in primo piano il rapporto tra mafia, imprenditoria e Stato, portando a Catania i vertici del sindacato insieme alle voci di alcuni imprenditori edili che hanno detto no al ricatto della mafia e le considerazione dell’ex sostituto procuratore del Tribunale di Catania Sebastiano Ardita, già Consigliere del Csm, responsabile dell’attuazione del regime 41bis e oggi procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Messina.
Profitto e legalità non camminano in simbiosi in Sicilia, in particolar modo in quei settori economici in cui la burocrazia e i servizi sono lenti e carenti ed è redditizio l’approvvigionamento delle materie prime. Gaetano Debole è l’imprenditore di Leonforte in provincia di Enna che ha svelato il giro di mazzette al Provveditorato Opere Pubbliche della Sicilia, portando all’arresto di quattro funzionari, oltre che di alcuni componenti della mafia ennese con differenti operazioni di Polizia.
“Nel 2013 la mia attività era in crescita e siamo stati presi di mira dalla mafia, che ha tentato di infiltrarsi nei miei lavori con aziende proprie. Una prima denuncia ha portato a dieci arresti, ma quegli arresti hanno portato ad intimidazioni nei miei confronti durante il processo. Alcuni sodali sono riusciti ad uscire dopo tre anni e in poco tempo hanno ricostruito il sodalizio con 32 uomini. Nel 2020 una nuova operazione di Polizia ha portato all’arresto di tutti, tuttavia – ha spiegato Debole – oggi serve dimostrare che chi denuncia non avrà problemi per averlo fatto ed è importante riconoscere il ruolo centrale delle scuole. Senza lo sviluppo di una mentalità che respinge il comportamento mafioso fin da bambini non cambierà nulla”.
Cosa si deve pretendere dalla politica in questo momento? Alla domanda del moderatore Aaron Pettinari di Antimafia Duemila ha risposto Alfio Mannino, segretario regionale della Cgil. “In questa fase storica la politica sta dimostrando tutta la propria fragilità, è infatti il ceto politico che si rivolge alla mafia per avere consenso. Nel frattempo la criminalità organizzata dimostra di saper impossessarsi di gran parte dell’economia siciliana, dai rifiuti alla sanità, dall’agroalimentare al mondo degli appalti in edilizia. Stiamo sottovalutando diversi aspetti – ha spiegato Mannino – e molte scelte politiche-amministrative hanno allentato la pressione. Non mi riferisco solo alla modifica del codice appalti, oggi per contrastare la mafia serve tornare a seguire i soldi. I grandi patrimoni che la mafia è capace di possedere. Da lì dovremmo ricominciare a muoverci, ma servirà un cambio di passo importante da parte. Qualche mese fa la Regione Siciliana ha dato svolgimento di una gara di appalto che assegnava tutti i servizi ausiliari di tutti gli ospedali siciliani. Nove aziende distinte hanno vinto uno dei nove lotti a bando, e se già questo desta scalpore, perché la centrale di committenza avrebbe dovuto dare criteri per evitare la frammentazione, quel che mi ha colpito e che abbiamo denunciato (per questo ringrazio Claudio Reale, giornalista in questo momento sotto attacco da parte della politica), è che tutti i capi operai nelle singole Asl erano persone con rapporti di parentela con mafiosi. La mafia costruisce il proprio consenso ancora elargendo posti di lavoro, povero come in questo caso, ma riesce ad assumere posizioni di comando. Abbiamo provato a condividere un protocollo di legalità con la Regione siciliana, che si è dimostrata disponibile ad accoglierlo, ma ancora oggi nessuno ha voluto dare vita alla proposta”.
È altrettanto indispensabile una riforma del sistema di giustizia, un cammino che resta allo stesso modo complicato, perchè quello italiano è un sistema pluri-riformato senza risultati evidenti. In assenza poi di un riscontro sociale da parte dello Stato, la lotta alla mafia resta in salita. “Sono anni che si fanno riforme di giustizia, ma queste riforme finiscono per peggiorare la situazione, perché ogni realtà riformatrice parte da una situazione funzionale difficile, figlia di riforme sbagliate – ha dichiarato da Catania il magistrato Sebastiano Ardita. Nella vita quotidiana si creano poi miti pericolosissimi, soprattutto in periferia, dove lo Stato si manifesta solo durante i controlli stradali o durante gli arresti, mentre l’immagine che viene restituita dei boss è quella di uomini che restano fedeli alle proprie idee, resistendo alla confessione anche in carcere. Questo non fa che ottenere risultati opposti rispetto quelli di cui tutta la nostra società ha bisogno”.
Sono intervenuti da Catania Sonia Alfano, già presidente Commissione speciale Antimafia al Parlamento Europeo, il segretario nazionale Fillea Cgil Antonio Di Franco e l’imprenditore Fabio D’Agata.