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Questa non è democrazia diretta, quando 19.254 click decidono per il Popolo

Luigi Di Maio non sapeva cosa fare in ordine alla convenienza o meno di M5S di presentarsi alle elezioni regionali di Emilia-Romagna e Calabria. Anzi, lo sapeva, escludendo tale partecipazione.
Tuttavia, i militanti uscenti da quei Consigli regionali e tanti altri che volevano candidarsi alle prossime elezioni hanno iniziato un fuoco di sbarramento, tartassando il povero ministro degli Esteri.
A questo punto, nel dubbio, si è rivolto a quel Santo Protettore, che è la piattaforma Rousseau. Alla quale sono iscritti (così è stato comunicato) oltre centomila simpatizzanti.
Posto il quesito – sembra che Di Maio l’abbia disconosciuto: “Non l’ho scritto io, non c’erano errori di ortografia” – hanno cliccato sì 19.254 su 27.273 votanti, pari al 70,6%.
Cossicché meno di ventimila persone decidono una questione importantissima come la partecipazione a elezioni democratiche di un Movimento.

Da dieci anni, i pentastellati si dicono diversi dai comportamenti di tutti gli altri partiti e, in effetti, in qualche caso lo sono stati: un elenco che qui è inutile riportare. Tuttavia, non possono accreditare il metodo previsto dalla votazione internautica come rappresentanza di una democrazia diretta.
Infatti, il campione (20 mila circa) è talmente piccolo rispetto ai 48 milioni di elettori da apparire del tutto insignificante. Certo, però, è sempre meglio un piccolo campione piuttosto che i soliti noti (meno di una decina) che prendevano decisioni erga omnes seduti vicino a un caminetto.
In quei luoghi “riservati” si mettevano in atto accordi, normalmente dannosi per i cittadini ma molto fruttuosi per gli amici degli amici e per se stessi.
La novità introdotta dall’M5s, per quanto criticabile come prima abbiamo scritto, tuttavia costituisce un elemento di novità che dovrebbe essere utilizzato anche dagli altri partiti.
Questi ultimi, d’altro canto, invece contrappongono le loro assise pubbliche come assemblee, congressi e direzioni, nelle quali però sono presenti decine, centinaia e al massimo qualche migliaio di persone.
La questione della Democrazia è fondamentale per il funzionamento di un Paese perché, attraverso la sua rappresentanza, il Popolo si esprime e decide sul suo futuro.
Ovviamente, coloro che sono stati delegati devono avere doti di cultura, competenza e senso di responsabilità, per potere gestire le istituzioni in favore dei cittadini più deboli, evitando egoismi, privilegi e accumuli di ricchezza indebiti.
Uno dei più gravi problemi che ha il nostro Paese, per difetto di rappresentanza, riguarda il debito pubblico, che cresce continuamente non solo in valore assoluto, avendo raggiunta l’enorme cifra di 2.439,2 miliardi di euro (Bankitalia, Settembre 2019), ma anche in relazione al Pil con una percentuale del 135,7% (Nota di aggiornamento di ottobre al Def 2019), ma che dovrebbe diminuire al 135,2% (2020).
Il debito pubblico è un peso soprattutto per chi non ha reddito e per quei giovani che, volenti o nolenti, prossimamente dovranno pagarlo.
L’incapacità di tutti i governi che si sono succeduti in questa cosiddetta seconda Repubblica di abbassare tale macigno è la prova provata dell’insensatezza e dell’incompetenza di tutti coloro che ci hanno amministrato fino ad oggi.

Il Reddito di cittadinanza presenta luci e ombre: le prime perché ha dato qualche sollievo ai veri poveri, soprattutto gli ultrasessantacinquenni; le seconde perché ha diffuso diseducazione soprattutto tra i giovani i quali hanno creduto che si possa non far nulla e percepire un assegno pubblico.
Tuttavia i poveri rimangono tali, se la macchina economica del Paese non produce ricchezze. Essa si sviluppa attraverso meccanismi noti, fra cui quelli teorizzati dal grande economista John Maynard Keynes (1883-1946), e cioè investimenti pubblici anche a debito. Un umorista scriveva: “Hanno eliminato la povertà, ora bisogna eliminare (fisicamente) i poveri”.
Ma tornando al serio, quel Reddito di cittadinanza doveva essere denominato Reddito di povertà, in tal modo avrebbe avuto una piena giustificazione. Così non è stato. Peccato!