I contributi europei saranno certo preziosi per rimettere in moto la macchina
Un grande rischio che corriamo è di adagiarci sull’illusione che questi contributi europei, ora messi in sicurezza, risolvano tutti i nostri problemi. Sarebbe un grande errore. I contributi europei saranno certo preziosi per rimettere in moto la macchina. Ma, pur nella loro entità, saranno piccola cosa a fronte delle immense necessità del sistema Italia. La partita in gioco chiama a raccolta tutte le migliori energie del Paese. La sfida si allarga a tutte le forze sociali, economiche e culturali del Paese, famiglie, imprese, associazioni, organi intermedi, tutti devono dare il meglio di sé. Le risorse pubbliche avranno ben poco effetto se non riusciranno a mobilitare anche gli investimenti e le energie dei privati. Sarebbe un errore mortale tornare ad impigrirci, pensando che tanto c’è l’Europa e Draghi che ci pensano. Il ricupero dell’Italia dipende dall’impegno di ciascuno e di tutti e non è certo esagerato dire che questo impegno non può essere inferiore a quello del dopoguerra.
Il terzo grande rischio è che le rendite di posizione che dominano larghi settori della nostra economia e della nostra società, con la loro grande forza economica, politica e corruttrice, riescano ad impedire le innovazioni di sistema che sono così necessarie. Questo è, oggi, forse il pericolo maggiore, considerata la debolezza strutturale e culturale del nostro povero sistema politico e del nostro basso livello civico. Sergio Fabbrini, uno dei migliori editorialisti economici del Sole 24 Ore il 7 febbraio 2021 ha scritto: “La frammentazione della politica è l’espressione del particolarismo che caratterizza da tempo la società italiana. Nel nostro Paese, non c’è un gruppo di interesse (neppure uno) che abbia uno sguardo più largo del proprio interesse. Basti ricordare l’esito degli “Stati generali dell’economia” organizzati a Villa Pamphili dal governo Conte II nel giugno dello scorso anno per “progettare il futuro”. Centinaia di associazioni che, per una settimana, si sono succedute ad avanzare richieste particolaristiche, come se l’interesse del paese emergesse dalla loro somma o aggregazione. Da non credere”.
E’ una visione reale. La stessa Confindustria, rappresentante del potere economico, sul giornale della quale sono state scritte queste giuste parole, io non l’ho mai vista, durante tutta la crisi, assumere una posizione costruttiva nei confronti del Governo e delle esigenze del Paese. Sempre solo pretendere, criticare, rimproverare. E mai dare , mai rinunciare a qualcosa, mai pagare qualche ticket per i propri privilegi. Anche qui, come nella politica generale, c’è una frattura tra il mondo delle imprese reali che lavorano e fanno il loro dovere con dignità in qualunque, anche dura, circostanza (e la maggioranza di loro lo ha dimostrato proprio nel corso del durissimo 2020) e la loro rappresentanza politica e burocratica che, come tutte le rappresentanze politiche e burocratiche, sono impegnate solo a difendere i propri privilegi a far sì che tutto cambi purché nulla cambi. Non è questo un male solo nostro, ma è anche di altri paesi e soprattutto degli USA attuali dove “Le troppe rendite di posizione strangolano il capitalismo USA”.
Lo ha recentemente scritto Angus Deaton, premio Nobel per l’economia nel 2015, professore emerito di Economia e affari internazionali presso la Princeton School of Public and International Affairs, uno dei più profondi e liberi economisti americani, che il 2 gennaio 2021 (Il Sole 24 ore) ha scritto: “La fine del mandato del Presidente Donald Trump di certo ridurrà il capitalismo clientelare e il saccheggio del portafoglio pubblico da parte della sua famiglia e dei suoi amici. Ma non servirà ad aggiustare un sistema che non funziona. Il potenziale del capitalismo americano di aumentare l’innovazione e il benessere rimane limitato, ma attualmente i suoi difetti stanno letteralmente togliendo la vita a molti americani. I rent seeker sono, e probabilmente rimarranno, troppo potenti per il bene del Paese.”