Mario Draghi, ex presidente della Bce, ha ammonito: “Se i giovani non divengono competitivi, sono senza futuro”. Questo dovrebbe essere l’obiettivo di scuola e Università: rendere competitivi gli allievi. Competitivi per mentalità, per voglia di crescere, per desiderio di raggiungere obiettivi. Competitivi si diventa e non si nasce.
Si diventa non solo studiando in maniera appropriata e non nozionisticamente, bensì aumentando le conoscenze complessive e interdisciplinari. Studiare la storia senza aver studiato la letteratura, la filosofia, la geografia ed altre materie interconnesse, non la fa comprendere.
Chi studia dovrebbe rendersi conto dello scenario complessivo sotto i diversi punti di vista, compresi quelli civile, politico, demografico e istituzionale.
In altri termini, sia nelle scuole che nelle Università gli insegnamenti dovrebbero essere sempre collegati fra loro, in modo che cresca la mente dei discenti, facendola abituare ad avere una visione organica e complessiva delle vicende e degli scenari. Sono proprio questi ultimi che vanno visti per capire bene ciò che accade.
Il guaio del Mezzogiorno è proprio la carenza endemica della mentalità, secondo cui chi studia dovrebbe farlo non nozionisticamente, ma attingendo a tutte le fonti possibili per capire quello che accade e quello che è accaduto, in modo che ognuno possa prospettarsi il futuro conseguente alla realtà che vede.
Purtroppo la nostra scuola e la nostra Università non sono attrezzate nel modo indicato. Ogni professore a scuola spiega la propria materia, ma difficilmente la collega con le altre e lo stesso accade nelle Università, dove è ancora più vistoso questo meccanismo di mancato collegamento fra le diverse discipline.
Ma c’è di più, nella scuola e nell’Università non si insegnano ordine e metodo, non si insegna che per qualunque attività, anche non economica, occorrono regole eque, che devono essere osservate tassativamente.
Ovviamente chi studia per essere competitivo nel futuro, chi fa esperienza post maturità e post università, magari multipla e magari non guadagnando subito, diventa inevitabilmente bravo.
Il futuro è dei bravi, non dei raccomandati.
Fabiola Gianotti è una scienziata direttrice del Cern di Ginevra, il centro di ricerche fra i più famosi del mondo. Nel mondo gli italiani occupano vertici di strutture economiche e scientifiche; italiani che non potrebbero ritornare nel nostro Paese perché non troverebbero strutture in condizione di accogliere le loro sapienza e capacità.
Il futuro e le scoperte che verranno saranno dei bravi, non dei raccomandati. Questa è la categoria che ha rovinato l’Italia e ancor più il Mezzogiorno, ove è diffusa la cultura del favore e non quella della capacità.
In questo quadro hanno una grave responsabilità i sindacati che hanno continuamente fatto appiattire le competenze verso il basso, a partire dal 1968, l’anno del sei o del diciotto politico.
Hanno responsabilità maggiori gli imprenditori quando non applicano la regola ferrea del merito nelle loro aziende. Sono maggiormente colpevoli i responsabili delle Istituzioni.
Questi ultimi sconoscono totalmente cosa sia il merito. Anche quando i partiti scelgono i candidati non si orientano verso i cittadini più bravi perché temono la loro autonomia decisionale, mentre individuano gli yes man che di solito sono persone di mezza tacca senza bravura e senza capacità.
Cosicché abbiamo un Parlamento di ignoranti, Consigli regionali e comunali di cui è meglio non parlare e soprattutto vertici istituzionali occupati da gente senza mestiere.
Ovviamente, anche in questo caso ribadiamo che in mezzo a questa marmaglia vi sono personaggi di grande valore e capacità che però sono in minoranza e quindi hanno poca voce in capitolo.
Allora, non c’è speranza? No, bisogna continuamente lottare affinché comunque prevalga il merito, la capacità e perché nel settore pubblico si inserisca un criterio competitivo che faccia prevalere i bravi e non i raccomandati.
Solo così si può sperare in una ripresa, attualmente non alla vista.
