Un uomo e una donna avrebbero riferito lo scorso anno in tv fatti non veri sull'uccisione dell'ispettore capo a Catania durante gli scontri tra ultras seguiti al derby calcistico con il Palermo del 2007
Avrebbero “offeso la reputazione della Polizia di Stato” affermando “in modo implicito”, e falsamente, che nelle indagini sulla morte dell’ispettore capo Filippo Raciti “sarebbero state coperte volontariamente le responsabilità dei veri” autori “indirizzandole dolosamente a carico di Antonino Speziale”.
Sono le accuse contestate dalla Procura di Catania ai due “testimoni”, una donna di 44 anni e un uomo di 42, sentiti dal giornalista Ismaele La Vardera sull’aggressione mortale del 2 febbraio 2007 davanti allo stadio Massimino durante gli scontri tra ultras seguiti al derby calcistico con il Palermo.
I due sono indagati per diffamazione aggravata a mezzo stampa, su un fatto determinato e recando offesa a un corpo giudiziario.
Lo scorso anno i “testimoni” avevano illustrato in tv la tesi del “fuoco amico”, secondo cui Raciti sarebbe stato ferito mortalmente da un Range Rover della Polizia. Tesi affrontata anche nei processi e smentita da tre gradi di giudizio.
La squadra politica della Questura di Catania ha notificato loro un’informazione di garanzia e un contemporaneo avviso di conclusione delle indagini preliminari firmata dal procuratore Carmelo Zuccaro e dal sostituto Andrea Bonomo.
L’inchiesta era stata avviata su querela presentata dal capo della polizia appunto dopo la messa in onda, il 12 novembre del 2020, delle interviste durante il programma trasmesso da Italia 1.
La donna, interpretata da un attrice, ha sostenuto che, poiché in qualità di familiare acquisita della famiglia Raciti, aveva partecipato ai funerali e in quell’occasione “aveva udito un poliziotto che avvicinandosi a Nazareno Raciti” avrebbe “chiesto scusa al padre dell’ispettore perché la morte del figlio era stata causata dalla manovra errata di un collega”.
Ha inoltre aggiunto che “aveva capito che Speziale era stato solo un ‘capro espiatorio'”.
L’uomo ha invece detto che Nazareno Raciti avrebbe riferito a suo padre di “avere saputo che suo figlio Filippo non era stato ucciso da Speziale, ma da colleghi con un’errata manovra con un’auto di servizio”.
Nazareno Raciti, sentito dalla Procura, ha smentito nettamente e decisamente entrambe le ricostruzioni.
Per la morte di Raciti sono stati condannati per omicidio preterintenzionale a otto anni e otto mesi Antonino Speziale, all’epoca dei fatti minorenne e che ha finito di scontare la pena il 15 dicembre 2020, e a undici anni Daniele Natale Micale, 33 anni, che è tornato in semilibertà poco prima di Natale del 2018, dopo avere scontato oltre metà della condanna in carcere a Catania, ed ha un residuo pena di meno di due anni.